Finora erano stati solo teorizzati. Adesso anche le osservazioni sembrano confermare la nuova ipotesi su come sono nati i buchi neri nell’Universo primordiale: poco dopo il Big Bang si sono formati dei buchi neri supermassicci ad una velocità elevatissima di massa maggiore di quelli che si formano nell’universo locale (cioè distante al massimo 2 miliardi di anni luce). Le osservazioni sono state fatte dal gruppo americano guidato dall’italiano Nico Cappelluti dell’università di Yale, come segnala il sito della rivista Science.
Le attuali teorie spiegano che i buchi neri si formano dopo la morte di una stella, ma non sono così grandi come quelli formatisi poco dopo il Big Bang, cioè 1 miliardo di anni dopo. Sono di massa più piccola e si formano con una velocità minore. “Alcuni lavori di fisica teorica hanno preso in considerazione le condizioni dell’universo primordiale, dove c’erano idrogeno, elio e litio. Sono gli elementi con cui si sono questi formati buchi neri enormi, centinaia di migliaia di volte la massa solare e che in un miliardo di anni possono raggiungere un miliardo di volte la massa solare”, spiega all’Ansa Cappelluti. Finora però erano mancate osservazioni che potessero confermare questa teoria. Le hanno fatte il gruppo di Cappelluti, studiando il fondo cosmico infrarosso, cioè il fondo del cielo, tolte le stelle e galassie che conosciamo, assieme al fondo cosmico di raggi-X. “È quello che i nostri telescopi non riescono a vedere perché non sono abbastanza potenti e che noi vediamo come qualcosa di appannato”, continua.
I ricercatori hanno studiato le fluttuazioni del fondo cosmico, scoprendo che hanno un’intensità molto più alta del previsto, “cosa che può essere spiegata appunto con questi buchi neri, grandi sorgenti di raggi X – prosegue Cappelluti -.È come se osservassimo la superficie della sabbia e le sue proprietà, studiando le sue increspature con degli occhiali a raggi infrarossi e raggi X”. Le increspature sono le fluttuazioni, e la loro intensità è in accordo con questa teoria dei buchi neri supermassicci. ”Sicuramente i telescopi di nuova generazione riusciranno ad accedere a questa epoca dell’universo più facilmente”, conclude.