A pochi giorni dal giuramento del presidente Trump, la cui politica è stata definita da tutti “populista”, e a pochi mesi dalle elezioni in Francia, dove Marie Le Pen incarna la versione europea e femminile del populismo contemporaneo, sembra giusto riflettere sul populismo nostrano, quello Made in Italy. La definizione di populismo che ci offre l’enciclopedia britannica è la seguente: “Un programma politico o movimento che supporta gli interessi della persona comune, in opposizione a quelli delle élite. Il populismo di solito presenta elementi di sinistra e di destra e si oppone alle grandi imprese e agli interessi finanziari. Tuttavia spesso può essere ostile ai partiti socialisti e alle istituzioni”.
In altre parole il populismo è anti-establishment e popolare per antonomasia. Il leader e il partito populista diventano il megafono della voce del popolo nei momenti di grande malcontento, ed è per questo che riscuotono tanto successo.
Donald Trump, Vladimir Putin e la stessa Marie le Pen sono esempi sfavillanti di populismo. Hanno studiato a fondo i motivi del malcontento popolare, conoscono benissimo le élite del potere perché provengono dalla stessa matrice, sono dunque di casa nell’establishment. Sebbene al centro della loro retorica ci sia il malcontento della persona comune nei confronti della gestione politica delle élite, il messaggio che lanciano è di un cambiamento radicale attraverso riforme politiche e sociali. Rottura totale con il passato, insomma. Così Putin ha lanciato la campagna contro gli oligarchi, che guarda caso hanno contribuito alla sua ascesa; Trump ha dichiarato che bonificherà la palude politica di Washington DC, nonostante per decenni abbia contribuito finanziariamente all’elezione di presidenti e parlamentari; Marie le Pen, infine vuole uscire dall’euro e riportare l’Unione europea indietro nel tempo, eppure una buona parte della sua carriera politica è avvenuta all’interno della stessa.
Il successo di questi leader è anche legato alla loro rinuncia ufficiale di far parte delle élite. Non sottovalutiamo questo elemento. Parte della loro popolarità nasce dal fatto che non sono estranei, outsider, alla gestione politica, al contrario, la conoscono molto bene.
Infine, l’elemento più importante del loro successo è il programma alternativo a quello dell’establishment. Partendo dal malcontento, ognuno di questi leader ha creato una visione alternativa, a loro avviso migliore per il popolo, che tutti promettono di perseguire una volta eletti attraverso le riforme. Spesso la politica populista attinge a un passato glorioso: Trump vuole riportare l’America alla grandezza degli anni 50 e 60; Putin vuole restituire alla Russia lo stato di superpotenza; Le Pen è nostalgica dell’indipendenza e del nazionalismo francese.
Mettere in piedi un populismo che funzioni non è dunque facile come molti credono. Non basta saper usare Twitter e lanciare attacchi contro l’immigrazione, i messaggi devono centrare l’obiettivo: la coscienza popolare. Ciò vuol dire che bisogna essere in sintonia con il popolo. Ma come farlo?
Il Movimento 5 Stelle, definito da molti, specialmente all’estero, la versione italiana del populismo contemporaneo, usa il meccanismo della democrazia diretta quale barometro della coscienza popolare. Ma da quanto abbiamo visto negli ultimi anni questo scalda gli animi e aumenta il malcontento senza produrre una visione chiara del futuro. Al contrario crea solo più confusione. L’ultima giravolta europea sembra confermare quanto appena detto. Il gruppo euro-parlamentare pentastellato non solo non ha una visione ben definita della propria ubicazione in Europa, ma mendica un’appartenenza a gruppi che rispondono picche. E così, con la coda tra le gambe, i pentastellati sono tornati dal leader di UKIP, che li ha trattati come le pecorelle smarrite.
Se questo e’ il populismo Made in Italy allora il Pd può stare tranquillo, nonostante i sondaggi (che tutti sappiamo non ci azzeccano mai) ci dicano che il Movimento 5 Stelle è ancora molto popolare in Italia, difficilmente Beppe Grillo riuscira’ ad emulare il successo di Donald Trump.
Il populismo contemporaneo ha posizioni ben chiare su alcuni temi caldi: immigrazione, difesa dei confini nazionali, politica monetaria e difesa della cultura nazionale. Su questi temi il Movimento 5 Stelle manca e non si è mai espresso. La giustificazione è che il meccanismo della democrazia diretta deve produrre la politica futura. Ma in realtà il motivo è un altro: a questo Movimento una visione politica del futuro e nell’impossibiltà di produrla ci si appella al web. Ma il web è una bestia pericolosa. Se è vero quello che si dice sull’hacking e sul crimine cibernetico, chi ci garantisce che il sistema di votazione online del 5 Stelle ne sia immune? Che le votazioni davvero riflettano la volontà della maggioranza degli iscritti?
Se è possibile influenzare le presidenziali americane, certo non sarà difficile manipolare la democrazia diretta dei grillini.