Il 2017 è iniziato in Arabia Saudita con un nuovo giro di vite nei confronti della società civile, ormai ridotta al silenzio a colpi di arresti, processi e condanne.

Il 5 gennaio Ahmed al-Mushaikass è stato convocato per interrogatori dall’Ufficio indagini della città di al-Qatif. Tre giorni dopo è stato trasferito in una stazione di al-Dammam dove rimane tuttora in attesa di essere incriminato. Al-Mushaikass è uno dei fondatori di un’organizzazione per i diritti umani non riconosciuta ufficialmente dal governo saudita, il Centro Adala per i diritti umani, che segue in particolare le vicende della turbolenta Provincia orientale. Suo fratello, Yussuf al-Mushaikass, è stato condannato a morte un anno fa per aver preso parte a una serie di proteste e potrebbe essere decapitato in qualsiasi momento.

L’8 gennaio un altro difensore dei diritti umani, Essam Koshak, è stato convocato per interrogatori dall’Ufficio indagini della Mecca e da allora non ha più fatto ritorno a casa. Gli interrogatori hanno riguardato la sua attività su Twitter, dove fino al giorno dell’arresto pubblicava regolarmente informazioni e denunce sulla situazione dei diritti umani in Arabia Saudita.

Il 10 gennaio è stata la volta di Abdulaziz al-Shubaily, uno dei fondatori della ormai disciolta Associazione saudita per i diritti civili e politici. Comparso di fronte alla Corte penale speciale, che si occupa unicamente di casi di terrorismo, si è visto confermare la condanna a otto anni di carcere per una serie di “reati”: incitamento a manifestare, offesa ai giudici (li aveva definiti “disonesti”), appartenenza a un’organizzazione non autorizzata e preparazione, archiviazione e diffusione di informazioni pericolose per l’ordine pubblico e comunicazioni con organizzazioni straniere. Al-Shubaily aveva collaborato a due rapporti di Amnesty International sulle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita.

Prima che finisse il 2016, un altro ex fondatore dell’Associazione saudita per i diritti civili e politici, Issa al-Nukhaifi, era finito in carcere alla Mecca in attesa del processo. Anche nel suo caso, le imputazioni sono relative ai suoi post su Twitter. Al-Nukhaifi era tornato in libertà appena ad aprile, dopo aver terminato di scontare una condanna a tre anni di carcere.

Come negli altri casi, la sorte di al-Mushaikass, Koshak, al-Shubaily e al-Nukhaifi resterà del tutto indifferente alle cancellerie occidentali, che hanno presto dimenticato anche l’unica storia che aveva fatto il giro del mondo: quella di Raif Badawi, condannato a 10 anni e a 1000 frustate (le prime 50 delle quali eseguite proprio un anno fa, il 9 gennaio). Ha da poco compiuto 33 anni, il quinto compleanno consecutivo in carcere.

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