A cavallo tra il secondo governo Prodi e l’ultimo di Berlusconi, sia l'ex Cavaliere sia il Pd di Veltroni volevano cancellarle. D'accordo Fini e Di Pietro, contraria solo la Lega. Poi il dietrofront: nel 2010 il leader di Forza Italia spiegava che si sarebbero risparmiati "solo 200 milioni". Nel luglio 2011 la Camera bocciò la proposta dell'Idv sulla materia. Due anni dopo la Consulta ha dichiarato incostituzionale il riordino disposto da Monti. Poi la riforma Delrio. Ma dopo il no al referendum costituzionale si torna al punto di partenza
Enti inutili e costosi, carrozzoni burocratici e inefficienti. Ma che resistono, nonostante tutto. Il dibattito sull’abolizione delle Province risale all’assemblea costituente, ha attraversato i decenni ed è ancora acceso. È stato detto tutto e il contrario di tutto. Prova ne è l’ultima uscita a riguardo del ministro per gli Affari regionali Enrico Costa (Ncd): “La mia idea è quella di riproporre il voto popolare, perché è fonte di legittimazione per tutti i consiglieri provinciali”. Ma come? E la legge Delrio? La trasformazione in enti di secondo livello (che non prevedono elezioni dirette)? Nulla, è destino. D’altro canto non sarebbe certo il primo cambio di rotta. La questione dell’abolizione delle Province è stata oggetto di promesse elettorali (disattese), smentite, clamorosi dietrofront e recriminazioni. Al centro dei programmi elettorali di Veltroni, Casini e Berlusconi candidati premier nel 2008, salvo finire nel dimenticatoio dopo la vittoria del Cavaliere sugli altri due. “Si risparmiano solo 200 milioni”, disse il leader del Pdl, dimenticando di colpo quanto detto in campagna elettorale. Mentre Pier Luigi Bersani, che sul punto era sempre stato prudente (“non si può andare avanti a colpi di semplificazione”), nel 2013 inserì “la cancellazione in Costituzione delle Province” al terzo degli otto punti “per un governo di cambiamento”. Come non dimenticare, poi, le parole del ministro Graziano Delrio che, tre anni fa, annunciava: “Credo che sia la volta buona per abolire le Province”.
TRA DETRATTORI E DIFENSORI
A parte qualche timido tentativo di mettere mano alla questione, il dibattito si è riacceso a cavallo tra il secondo governo Prodi e
Non proprio tutti, però, erano a favore della cancellazione tout court. L’allora ministro Bersani sottolineava “l’importante funzione di programmazione” delle
E bisognava fare i conti con la dura realtà. Le Province significano consenso e sono strategiche sul territorio: l’abolizione poteva anche aspettare. I calcoli La Russa li aveva fatti: “Fra cinque anni, anche perché ora si sta per votare, ma bisogna mettere un paletto preciso con una legge che faccia diventare la legislatura provinciale che inizia nel 2009 una legislatura di passaggio di tutte le deleghe alle Regioni o ai Comuni o alle aree metropolitane”.
IL DIETROFRONT
Secondo gli intenti, quindi, dopo la parentesi del voto bisognava mettere mano alla riforma. D’altro canto Berlusconi in campagna elettorale era stato chiaro. Un
Poi ci fu la telenovela della finanziaria 2010 con la soppressione di 10 piccole Province, provvedimento poi stralciato dal testo definitivo per un veto della Lega. Insomma, a fine anno il risultato era evidente: a due anni e mezzo dalle promesse elettorali la questione era allo stallo. Con Fini che accusava: “Le Province non si aboliscono perché la Lega ha voglia di tenerle come ulteriore anello territoriale”. “Berlusconi l’aveva proposto nell’ultima campagna elettorale: una delle tante promesse da marinaio” disse il leader di Sel Nichi Vendola.
BOCCIATA LA PROPOSTA DELL’IDV
Il 5 luglio 2011 la Camera bocciò la proposta dell’Idv (che ci aveva già provato due anni prima con un ddl costituzionale) sull’abolizione delle Province e il Pd si
L’ERA MONTI E LA BOCCIATURA DELLA CONSULTA
Da fine 2011 il governo Monti ha lavorato a una serie di provvedimenti che sarebbero andati a costituire la riforma. Il cosiddetto Salva-Italia, con cui si abolivano
AI GIORNI NOSTRI
Passano gli anni, si succedono i premier, ma il refrain non cambia. Così si è assistito al discorso di investitura da presidente del Consiglio di Enrico Letta, che ufficializzava la cancellazione definitiva degli enti (senza neppure l’ipotesi di sostituirli con enti di secondo livello) con Daniela Santanché che si affrettava a
ricordare che “l’abolizione delle Province era nel programma del Pdl” (a dire il vero in più di un programma elettorale, solo che lì è rimasta). Dopo Letta, la cancellazione è stata un chiodo fisso sia di Renzi che di Delrio. Che nel 2013, da ministro per gli Affari regionali, ha sentenziato: “Credo che sia la volta buona per abolire le Province”. Un anno dopo la riforma del ministro è diventata legge e Renzi ha festeggiato (forse troppo presto): “Abbiamo abolito le Province, avanti come un rullo compressore”.
Nelle intenzioni dell’esecutivo quelle misure servivano a costruire un ponte in attesa delle riforme costituzionali, ma in realtà l’abolizione non era mai stata tanto lontana. Da parte delle opposizioni (in prima fila Forza Italia) l’approvazione della legge è stata definita ‘golpe’, ‘pasticcio’, ‘imbroglio’, ‘truffa’ perché non avrebbe “cancellato le Province, ma creato poltrone in più”. Non è stato migliore il clima anti-referendum con Calderoli che ci ha (di nuovo) messo del suo: “Per il referendum sulla riforma costituzionale Renzi ha preparato un quesito che sembra un tentativo di circonvenzione dell’elettore”. La riforma prevedeva di eliminare la parola ‘province’ dall’articolo 114 della Costituzione, rimandando a una nuova legge ordinaria il riordino sostanziale. Ma le Province – come ormai accade da 50 anni – hanno assistito alla rottamazione di chi voleva rottamarle. Prima di Renzi, era capitato a Berlusconi, Monti e Letta. E ora c’è chi ha proposto di ripristinare l’elezione diretta di chi le rappresenta. Allora vale proprio tutto.