Attualità

Il Piccolo Principe, “qualcuno può spiegare come mai uno dei libri più banali di sempre è diventato un grande classico?”

Complice la prima visione su Canale5 del film d'animazione tratto da Il Piccolo Principe di Saint-Exupery (che, per completezza di informazione, ha racimolato un misero 10,57% di share e 2,7 milioni di spettatori), ci è tornata in mente una vecchia questione che non siamo mai riusciti a risolvere

Divertissement di Domenico Naso

Ieri sera, complice la prima visione su Canale5 del film d’animazione tratto da Il Piccolo Principe di Saint-Exupery (che, per completezza di informazione, ha racimolato un misero 10,57% di share e 2,7 milioni di spettatori), ci è tornata in mente una vecchia questione che non siamo mai riusciti a risolvere. Prendendo atto del nostro fallimento, con domande che non hanno mai ricevuto una risposta, ci rivolgiamo dunque a voi, che sicuramente sarete in grado di sbrogliare questa matassa intellettuale: qualcuno può spiegarci il perché del successo del Piccolo Principe? Qualcuno riesce a farci capire, con poche e semplici parole, come se parlasse a un seienne nemmeno troppo sveglio, perché uno dei libri più banali di sempre è diventato un grande classico? Qualcuno è in grado di motivare razionalmente il perché si continui a utilizzare, spesso a sproposito, le frasi da Bacio Perugina che Antoine de Saint-Exupery ha colpevolmente vergato?

Non stiamo cercando il pretesto per fare polemica, davvero, è che non ci arriviamo, evidentemente per un nostro limite mentale. E visto che “l’essenziale è invisibile agli occhi” (come ieri sera, peraltro, molti di voi ci hanno ricordato sui social durante la messa in onda del film), vi chiediamo il piacere di aprirci i nostri. Ci sentiamo terribilmente in colpa ogni volta che, attorno a noi, si cominciano a tessere le lodi di questo “capolavoro”. Lo abbiamo letto da piccoli, lo abbiamo riletto da grandi e continuiamo a ritenerlo noioso e sopravvalutato. Salvate la nostra insensibile anima, illuminateci, mostrateci questo essenziale. Ne va della nostra sanità mentale e, cosa non secondaria, della nostra omologazione culturale.

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