E se fosse successo a voi? Immaginatevi di rivolgervi a quanto di meglio offre la chirurgia generale in Ticino, la celeberrima Clinica Sant’Anna di Sorengo, adagiata lussuosamente sulle colline di Lugano con vista spalancata sul lago, specializzata tra l’altro anche in Neonatologia e Pediatria. Qui ha scelto di partorire Barbara Berlusconi e qui Putin avrebbe fatto nascere la sua figlia “segreta”.
Qui una paziente, italiana ma naturalizzata svizzera, si affida a un’équipe di medici per un tumore al capezzolo. L’avevano rassicurata che l’operazione non sarebbe stata troppo invasiva, un piccolo taglio giusto per asportare una macchia tumorale della grandezza di una nocciolina. Invece al suo risveglio si ritrova con entrambi i seni asportati. E’ stata semplicemente operata la paziente sbagliata. Il chirurgo, torinese naturalizzato svizzero, si rende conto dell’errore e il pomeriggio, appena la paziente si risveglia dall’anestesia, la va a trovare in camera e con aria spavalda le butta lì: “Abbiamo tolto tutto, ma proprio tutto. Come ha fatto Angelina Jolie. Una mastectomia bilaterale. Le abbiamo tolto tutto per prevenzione”. La paziente cade nel tunnel della depressione.
Parte la denuncia penale, anche se dopo molti mesi, quando avrà scoperto la verità.
Intanto fra bugie, depistamenti, cartelle mediche camuffate, i cronisti de Il Caffé, un settimanale domenicale molto seguito nel Ticino, cercano di rimettere insieme i pezzi della troppo scomoda verità. La Procura chiude l’istruttoria, il medico viene sospeso solo dopo quindici mesi (ma nel frattempo aveva continuato ad operare nella stessa clinica, circa duecento interventi). Nella primavera del 2016 si raggiunge un accordo tra il chirurgo, la clinica e la paziente, che ritira la richiesta ai magistrati di estendere le accuse ad altro personale sanitario della Sant’Anna. In cambio riceve un assegno di 280mila franchi (circa 260mila euro).
Ma a questo punto la solerte, si fa per dire, magistratura elvetica, cosa fa? Dando tempestivamente seguito a una denuncia della clinica, comunica alla redazione de Il Caffé di voler processare quattro giornalisti della testata: il direttore responsabile, il vice direttore, il caporedattore e una giornalista. Tutti chiamati a rispondere dell’accuse di diffamazione e concorrenza sleale. A firma del direttore, Lillo Alaimo, siciliano di nascita che da 35 anni lavora e vive in Ticino, esce un editoriale su una prima pagina lasciata significativamente bianca: “Un segnale preoccupante per la libertà di stampa. Un segnale preoccupante per quelle poche ‘isole’ ormai rimaste di giornalismo d’inchiesta. Un segnale preoccupante specie in una piccola realtà come quella ticinese in cui la pluralità di informazione va salvaguardata a tutti i costi”.
Il direttore si chiede come sia potuto accadere un simile errore e quale sicurezza sia garantita ai pazienti in una nazione come la Svizzera che spende oltre 70 miliardi l’anno per la sanità. Interrogativi che nell’inchiesta del Caffè in parte hanno trovato risposta ma in parte no o, comunque, non in modo esaustivo e convincente. Eppure si tratta di temi di grandissimo interesse pubblico, vale a dire la salute e le strutture sanitarie pubbliche e private a cui i cittadini, non solo svizzeri, si affidano sborsando mensilmente e obbligatoriamente centinaia di franchi per l’assicurazione. E la Sant’Anna, oltretutto, riceve annualmente 13 milioni di finanziamenti pubblici. Scrive ancora Alaimo nell’editoriale:
Al giornalismo, per quanto scomodo e indigesto possa essere ai poteri, occorre garantire autonomia e libertà. Querele e processi penali non sono altro che censure e intimidazioni. E a questo proposito la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) non ammette alcuna restrizione alla libertà di espressione, sia nel dibattito politico sia su temi di interesse generale, come indubbiamente sono salute e sanità.
Non solo. Secondo la Cedu le sanzioni penali, per quanto lievi, hanno un effetto dissuasivo inaccettabile e rischiano di compromettere la funzione di promotore del dibattito democratico che è proprio della stampa.
Al Caffè, tuttavia, non sono addebitati né errori né imprecisioni su quanto pubblicato. Ogni riga, ogni parola di quanto scritto corrisponde a verità.
Questa inchiesta giornalistica ha svolto un ruolo di servizio pubblico ma paradossalmente la testata è ritenuta colpevole di aver favorito “indirettamente” le altre cliniche (da qui l’accusa di concorrenza sleale). Una vicenda peraltro lontana dalla parola fine. L’inchiesta penale – che vede per ora come unico responsabile il chirurgo che operò – non è ancora terminata, adesso si chiama in causa l’intera organizzazione della clinica.
Come è possibile che l’errore di una sola persona, il chirurgo, possa aver determinato un simile disastro? Quali sono i sistemi di sicurezza – vale a dire le procedure di identificazione del paziente e della parte da operare – a cui le strutture pubbliche e private dovevano e devono attenersi? Chi è attorno al nostro lettino operatorio quando, sedati, siamo pronti per un intervento? Che formazione devono avere le persone addette alla sala operatoria? Quali controlli svolge l’autorità di vigilanza sanitaria e quali i risultati? Domande legittime.
Sento al telefono il direttore Alaimo, ancora incredulo: “La Svizzera in questi anni di turbolenza e di cambiamenti, pur ritrovandosi nel cuore dell’Europa, si è chiusa a riccio, ripiegata su se stessa. Gli svizzeri di lingua italiana per ragioni non giustificate hanno complessi d’inferiorità verso il Nord e verso il Sud. Rimane il fatto gravissimo che in un Paese civile si debba ancora difendere non solo la libertà della stampa ma anche quella dei cittadini ad avere una stampa capace di indagare ponendo domande scomode alle istituzioni, ai poteri forti, siano essi dell’economia che della politica che della magistratura – continua – Questo giornalismo riteniamo sia un antidoto agli abusi e ai soprusi. Una sentinella al servizio dei cittadini”.
Firmiamo, dunque, per una stampa libera in Europa: basta inviare una mail a questo indirizzo solidarieta@bluewin.ch.