Tra i destinatari dell'avviso di garanzia c'è anche il conte Enrico Maria Pasquini. L'indagine verte sul ‘blocco telefonico’ utilizzato per consentire la marcia dei convogli, un sistema considerato “obsoleto” come scrisse nell’immediatezza dell’incidente il Fatto Quotidiano
Sette nuovi indagati, tra cui il conte Enrico Maria Pasquini, per lo scontro tra i treni di Ferrotramviaria. La nuova contestazione avanzata dalla procura di Trani, guidata da Francesco Giannella, è legata al sistema di sicurezza adottato sulla linea Andria-Corato, dove lo scorso luglio persero la vita 23 persone e 50 rimasero ferite. Tutto verte attorno al ‘blocco telefonico’ utilizzato per consentire la marcia dei treni, un sistema considerato “obsoleto” come scrisse nell’immediatezza dell’incidente. Fatto che i magistrati avrebbero accertato in questi mesi di indagine e per il quale è quindi ipotizzabile il reato di “rimozione od omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro”, che prevede la pena della reclusione fino a 10 anni. I nuovi indagati sono in tutto 7, quasi tutti dipendenti di Ferrotramviaria. Tra loro anche il conte Pasquini, il quale non ricopre più alcuna carica all’interno dell’azienda di famiglia che venne fondata da suo nonno, Ugo, nel 1937.
Le persone sotto inchiesta per la strage diventano così 13, a vario titolo accusate di disastro ferroviario colposo, omicidio colposo plurimo e lesioni personali colpose plurime. Figurano tra gli indagati il presidente del consiglio di amministrazione e rappresentante legale della compagnia Gloria Pasquini, il direttore generale, Massimo Nitti, e il direttore di esercizio Michele Ronchi, oltre al capotreno Nicola Lorizzo e i capistazione di Andria e Corato, Vito Piccarreta e Alessio Porcelli, che quella mattina diedero il via libera ai convogli poi scontratisi mentre erano in marcia tra le due stazioni.
L’errore umano, quindi, alla base della tragedia. Ma, sospettano gli investigatori, Ferrotramviaria non avrebbe assunto tutte le ‘cautele’ possibili per evitare incidenti sul lavoro. Tradotto: i sistemi di sicurezza avrebbero dovuto essere migliori. Il blocco telefonico, infatti, è unanimemente ritenuto il meno sicuro, basandosi sulle comunicazioni tra i due capistazione. Tanto che, come scoperto dal Fatto, al momento dell’incidente in Italia esistevano due diverse normative sulla sicurezza dei treni. Una di “serie A”, adottata da tutta la rete Rfi sotto la giurisdizione dell’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, e una di ‘categoria B’ per le ferrovie ex-concesse come Ferrotramviaria – con standard di sicurezza meno stringenti – sotto il controllo dell’Ustif, un ufficio periferico del ministero dei Trasporti.
In sostanza, se i nuovi convogli utilizzati dalla compagnia pugliese avessero dovuto viaggiare secondo le regole dell’Ansf, non avrebbero potuto farlo utilizzando il ‘blocco telefonico’ o comunque avrebbero dovuto adottare una velocità di marcia al massimo di 50 chilometri orari, come poi avvenuto da ottobre quando è stato deciso il trasferimento di tutte le linee all’Agenzia nazionale. Diverse fonti confermarono al Fatto che a Ferrotramviaria “sarebbe bastato un investimento inferiore 400mila euro per aumentare i livelli di sicurezza” in attesa del completamento dei lavori di raddoppio del binario finanziati dall’Unione Europa, previsti dal 2007 e non ancora completati.