Sette anni per mettere nero su bianco che Stefano Cucchi fu picchiato dai carabinieri che lo arrestarono. E che morì in seguito a quel pestaggio, e al comportamento dei medici che lo avrebbero dovuto curare. È la conclusione al quale è arrivata la procura di Roma, che ha chiuso l’inchiesta bis sul giovane arrestato il 15 ottobre del 2009 e morto una settimana dopo. Un decesso avvenuto a causa delle  “lesioni procurate” al giovane “il quale fra le altre cose, durante la degenza presso l’ospedale Sandro Pertini subiva un notevole calo ponderale anche perché non si alimentava correttamente a causa e in ragione del trauma subito, ne cagionavano la morte”. È solo uno dei passaggi contenuto nell’avviso di conclusione delle indagini firmato dal procuratore capitolino Giuseppe Pignatone e il sostituto Giovanni Musarò.

Inchiesta bis: “I carabinieri lo pestarono” – Nell’inchiesta bis, aperta nel 2014, risultano dunque indagati per omicidio preterintenzionale e abuso di autorità Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, e cioè carabinieri che arrestarono il giovane.  Accusati a vario titolo di falso e calunnia, sono invece Tedesco, Vincenzo Nicolardi e il maresciallo Roberto Mandolini. Contestazioni che aprono una nuova pagina della vicenda giudiziaria già passata per diversi processi.

15 ottobre 2009: l’arresto –   Tutto comincia il 15 ottobre del 2009 in via Lemonia, a Roma, a ridosso del parco degli Acquedotti, quando il giovane viene arrestato dopo essere stato sorpreso con 28 grammi di hashish e qualche grammo di cocaina. Quella notte, intorno all’una e mezza, i carabinieri lo accompagnano a casa per perquisire la sua stanza. Non trovando altra droga lo riportano in caserma con loro e lo rinchiudono in una cella di sicurezza della caserma Appio-Claudio. La mattina successiva, nell’udienza del processo per direttissima, Stefano ha difficoltà a camminare e parlare e mostra evidenti ematomi agli occhi e al volto che non erano presenti la sera prima.

22 ottobre 2009: la morte dopo 6 giorni di buco nero – Il giudice, nonostante le condizioni di salute del giovane, convalida l’arresto e fissa una nuova udienza. Nell’attesa, Cucchi viene rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Le sue condizioni di salute peggiorano rapidamente e, il 17, viene trasportato all’ospedale Fatebenefratelli per essere visitato. Il referto è chiaro: lesioni ed ecchimosi alle gambe e al viso, frattura della mascella, emorragia alla vescica, lesioni al torace e due fratture alla colonna vertebrale. Viene chiesto il ricovero, ma il geometra trentenne viene rimandato in carcere per poi essere ricoverato di nuovo, presso l’ospedale Sandro Pertini, dove muore il 22 ottobre. Solo a questo punto, dopo vani tentativi i suoi familiari riescono a ottenere l’autorizzazione per vederlo: il corpo pesa meno di 40 chili e presenta evidenti segni di percosse. Cominciano le indagini.

Quattro processi e nessun colpevole – I primi rinvii a giudizio arrivano nel gennaio del 2011, quando alla sbarra finiscono in dodici: sei medici dell’ospedale Pertini, tre infermieri dello stesso ospedale e tre guardie carcerarie. La sentenza arriva il 5 giugno 2013: quattro medici e il primario vengono condannati a pene comprese tra 1 anno e 4 mesi e 2 anni di reclusione per omicidio colposo ( pena sospesa), un medico a 8 mesi per falso ideologico, 6 tra infermieri e guardie penitenziarie vengono invece assolti. Secondo le motivazioni della sentenza di primo grado Cucchi morì per la “sindrome da inanizione“, cioè per malnutrizione. In appello però la sentenza viene ribaltata. Il 31 ottobre 2014 tutti gli imputati vengono assolti. A marzo 2015 il caso approda all’esame della Cassazione. Il 15 dicembre la Suprema Corte annulla quindi l’assoluzione di cinque medici dell’ospedale Pertini disponendo un appello-bis per omicidio colposo. Definitivamente assolti invece tre agenti di polizia penitenziaria, il medico che per primo visitò Cucchi e i tre infermieri finiti sotto procedimento.

Tra le cause del decesso non c’è l’epilessia – Il 18 luglio del 2016, quindi, alla fine dell’appello bis viene confermata l’assoluzione per i 5 medici. Per i giudici i camici bianchi “hanno colposamente omesso di diagnosticare la sindrome da inanizione” ma “appare logicamente poco probabile che Cucchi si sarebbe salvato”. In mezzo ci sono le conclusioni dei consulenti nominati dal gip dell’inchiesta bis: per loro l’ipotesi “dotata di maggiore forza ed attendibilità” era unamorte improvvisa ed inaspettata per epilessia in un uomo con patologia epilettica di durata pluriennale, in trattamento con farmaci anti-epilettici”. Conclusioni che non hanno  convinto i pm della procura di Roma: nell’avviso di conclusione delle indagini, infatti, l’attacco epilettico del quale è stato vittima il giovane non figura tra le cause che ne hanno causato il decesso.

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