Il primo volume è stato tradotto da Muauia Abdelmagid, siriano di Damasco, laureato in lingua e cultura italiana all’università per stranieri di Siena, un master in culture letterarie europee a Bologna e già traduttore in arabo – tra gli altri – di Erri de Luca, Niccolò Ammaniti e Italo Svevo
L’Amica geniale, primo libro della tetralogia di Elena Ferrante, è stato tradotto in arabo e pubblicato dalla celebre casa editrice Dar al Adab, basata a Beirut. Il primo tomo della fortunata serie, che ha reso celebre l’autrice la cui identità è ancora sconosciuta, è stato presentata ufficialmente in anteprima nel dicembre scorso, durante l’ultima fiera internazionale del libro di Beirut.
Rendere il significato di alcuni termini da una lingua a un’altra comporta delle però difficoltà: come per “smarginatura“, concetto che viene introdotto dalla Ferrante. “Il 31 dicembre del 1958 Lila – scrive nel romanzo la celebre autrice – ebbe il suo primo episodio di smarginatura. Il termine non è mio, lo ha sempre utilizzato lei forzando il significato comune della parola. Diceva che in quelle occasioni si dissolvevano all’improvviso i margini delle persone e delle cose”.
“Si sa – spiega Albelmagid a Internazionale – che questo termine viene spesso usato per indicare la consumazione dei margini dei libri. Quindi in arabo viene più o meno descritto come ‘disfacimento dei margini’ (inhilal al hawamish). Questo termine arabo mi sembrava perfetto, perché da un lato rispecchia il modo con cui le cose si dissolvono, e dall’altro allude metaforicamente a una dissoluzione morale. Una scelta difficile, ma responsabile direi, e – alla Eco – ‘sembra dire quasi la stessa cosa’”.
Ma il termine “smarginatura” non è l’unica parola che ha messo a dura prova il traduttore. I nomi di luoghi sconosciuti al lettore arabofono, i vari Rino, Gino, Nino, difficili da ricordare per un orecchio non abituato a memorizzare e a distinguere questi suoni sono stati una sfida. Ma, spiega Abdelmagid alla rivista, “il rione popolare di Napoli della Ferrante può essere paragonato, in un certo senso, a quello popolare del Cairo di Nagib Mahfuz”, lo scrittore egiziano premio Nobel per la letteratura nel 1988, che descrisse i quartieri della sua città in diverse opere, tra cui la Trilogia del Cairo e Il rione dei ragazzi.