Foto di ragazze di ogni età vengono saccheggiate dai profili social per poi ripubblicarle, senza il loro consenso, in gruppi privati il cui fine è la sega collettiva. Segarsi in branco giocando a chi ce l’ha più lungo, a chi eiacula più lontano, a chi riesce a umiliare di più la ex fidanzata la cui foto viene pubblicata, violando la sua privacy, da quello che vuole vendicarsi. Se non sei mia allora ti do in pasto agli altri, come carne la cui data di scadenza consente un uso collettivo per rubarne i resti, fino a spolparla viva e a ingoiare le ossa.
Lui pubblica la foto dell’ex, quell’altro condivide l’immagine della tizia con la quale ha fatto sexting, e poi il tipo che colleziona pezzi di carne da scambiare con altri pezzi di carne, come le figurine. Se ti do una tetta ci guadagno un gluteo e così via.
Tempo fa su Abbatto i Muri arrivò la prima segnalazione da parte di una ragazza che non intendeva restare a fare la vittima passiva per l’abuso che subiva e non intendeva suicidarsi, come ha fatto Tiziana Cantone per l’enorme peso del cyberbullismo subito. Quella ragazza mostrò gli screenshoot presi da un gruppo privato in cui c’era una sua foto usata per insultarla. La sua foto, il suo nome. Già, perché chi pubblica queste immagini mette anche il nome e cognome o altri dati sensibili, e istiga a compiere uno stalking compatto da parte di colleghi. Nessuno mostra un po’ di buon senso e di rispetto chiedendo la fine della persecuzione.
Dopo quella segnalazione, ne sono arrivate molte altre. Poi abbiamo saputo di questa Bibbia 3.0, le cui versioni online si moltiplicano, e i cui link vengono condivisi tra i membri dei gruppi privati adatti all’uso. Quello che non funziona in tutto questo – cosa che è oggetto di denunce da parte delle donne che scoprono di essere, loro malgrado, vittime di questi comportamenti – è che queste donne non hanno dato il loro consenso. Non lo sapevano, non lo sanno ancora, e chi lo sa cerca disperatamente di fare qualcosa con denunce che non garantiscono comunque la fine dell’atteggiamento ritorsivo.
La ritorsione è praticamente inevitabile perché costoro si muovono, per l’appunto, in branco: se parli dei diritti violati di donne che non hanno mai scelto di essere oggetto dei desideri di qualche sconosciuto, arrivano a colonizzarti la pagina con le loro shit storm o mettendoti alla gogna e insultandoti in ogni modo possibile. Così, c’è chi sceglie di tacere per evitare di essere nel mirino di questi mattacchioni. Per quel che mi riguarda non ho una particolare vena giustizialista e non mi compete il fatto che queste persone stiano commettendo un reato o meno. Queste sono conclusioni che riguardano altri contesti. Quello che compete a me, femminista e antisessista, ben sapendo che la repressione serve a poco, è il fatto di essere dalla parte di qualunque donna che sia oggetto di questi abusi. Qualunque donna che riceva insulti online, inclusa Mara Carfagna che proprio in questi giorni è stata minacciata. Dalla parte delle donne vittime di stupri virtuali, giacché dove non c’è consenso è stupro, qualunque sia il modo in cui vorranno affrontarli. Con denunce pubbliche o private, con la richiesta di giustizia presso i tribunali o un ragionamento pubblico che inviti le altre a non sentirsi in colpa, a non provare vergogna, perché non c’è né colpa né vergogna nell’aver affidato la propria immagine a uomini che avete conosciuto e nel ritrovarsi, poi, una volta finita la relazione, schedate come cagne o troie con foto riutilizzate a vostra insaputa.
Mi compete l’ascolto, la solidarietà nei confronti di ragazze che si sentono impotenti e non sanno come superare la questione. Non sanno come far capire che sono persone e che quelle azioni le feriscono orribilmente. La denuncia parte dalle ragazze stesse, i servizi di inchiesta arrivano dopo. Non si tratta di andare in cerca di quello che fa più sensazione, descrivendo abitudini di uomini che dicono sui social né più e né meno di quello che alcuni dicono dal vivo. Si tratta di alfabetizzazione emotiva di base. E quel che manca, a prescindere dal livello repressivo usato, è l’educazione al rispetto dei generi. Serve responsabilizzare questi uomini e le donne che restano in questi gruppi Facebook ridendo insieme al branco, e raccontare loro che se Facebook non trova che abbiate violato “gli standard di comunità” non significa che stiate facendo la cosa giusta.
E a questo proposito vorrei farvi leggere una lettera che è stata scritta da una ragazza giustamente indignata. La lettera è indirizzata a Facebook a proposito di quegli standard di comunità che non rispettano le donne. Come dice la lettera: a Facebook interessa cancellare foto di capezzoli femminili, di macchie di mestruazioni, di espressioni di autodeterminazione dei corpi, ma non ha nulla da dire su quei mille insulti ricevuti dalle donne. Se credete fatela girare e raccontatemi ancora quello che succede. Io sto con voi.
Cari Facebook e chiunque stia leggendo,
Sono una studentessa italiana a scrivo per esprimere disappunto e senso di impotenza in relazione ad alcuni eventi recenti che vi hanno coinvolti.Come saprete, Facebook è stato recentemente invaso da gruppi ‘privati’ nei quali chiunque può pubblicare foto di donne – e spesso ragazze – senza il loro permesso. Si tratta frequentemente di fotografie che le ritraggono nude o addormentate, talvolta mentre camminano per strada, talvolta le foto sono prese dai loro profili social privati e a volte si tratta di casi di revenge porn. Un fattore è comune a tutti questi casi: le donne e ragazze raffigurate sono vittime di stupro virtuale. Nella gran parte dei casi non sanno nemmeno che sono state scattate loro queste foto, ma ci sono uomini che si masturbano guardandole, le insultano, le chiamano ‘puttane’ e le umiliano. Nella maggior parte dei casi, gli amministratori di queste pagine dichiarano apertamente che il loro scopo è umiliare le donne.
Ho segnalato molte di queste pagine Facebook – ce ne sono a decine soltanto nel mio paese, l’Italia – ma, fatta eccezione per due casi, ho ricevuto sempre la stessa risposta: “La pagina non viola i nostri standard della comunità”.Ogni volta che leggo queste parole mi sento arrabbiata, umiliata e frustrata. Com’è possibile che una pagina ingiuriosa, il cui obiettivo dichiarato è umiliare delle persone pubblicando foto senza la loro autorizzazione (e QUESTO è un reato), non violino gli standard della vostra comunità? Insultare un’intera categoria con termini quali “troia”, “puttana”, “cagna” come sinonimi di “donna” è incredibilmente degradante e dovrebbe rappresentare un problema per voi.
In un primo momento ho pensato di rimuovere il mio profilo Facebook e di invitare quanti la pensano come me a fare lo stesso, provando a boicottare il network (anche se so che è impossibile, ma almeno avrebbe potuto essere un campanello d’allarme). Ma, sfortunatamente, Facebook è il mezzo più immediato per condividere le proprie opinioni, il che significa che dovrebbe essere un valido strumento per combattere il sessismo.
Quindi voglio dirvi: mi sento insultata, e non sono l’unica. Penso che sia un affronto alla mia dignità che qualcuno che nemmeno conosco possa fare ciò che vuole delle mie foto, possa insultarmi, definirmi una puttana e condividere i suoi sogni perversi di stuprarmi sul vostro social network senza subire alcuna conseguenza. E soprattutto, trovo un insulto che tutto ciò non violi gli standard della vostra comunità.
In quanto spazio virtuale, Facebook è anche spazio pubblico e dovrebbe essere sicuro per tutti. Oggi è chiaro che Facebook non è un luogo sicuro per le donne. Come cittadina di un Paese in cui, nel 2016, 116 persone sono state vittime di femminicidi e lo stupro è illegale ma spesso giustificato mentre la vittima è spesso incolpata, penso che i vostri standard siano inaccettabili. Essi affermano che il mio seno, i miei capezzoli e il mio sangue mestruale sono offensivi se io decido di pubblicarli, ma qualcun altro può utilizzare le mie foto non autorizzate per segarsi, purché lo faccia in un gruppo privato.
Caro Facebook, se lo stupro virtuale non viola i tuoi standard comunitari, allora i tuoi standard comunitari violano le donne. Violano metà della popolazione mondiale, violano la dignità umana.Cordiali saluti,
Una donna indignata