Giancarlo Galan rischia di diventare l’uomo politico che in Italia ha pagato più di tutti, almeno sulla carta, il proprio debito con la giustizia. Dopo l’arresto per corruzione, il 22 luglio scorso, per il caso Mose (35 arresti il 4 giugno 2014 tra cui l’ex sindaco Orsoni) e l’espiazione della pena di due anni e 10 mesi ai domiciliari, dopo la cessione forzata allo Stato di una villa da favola alle pendici dei Colli Euganei, per poter accedere all’accordo alternativo al carcere, ecco arrivare la stangata finale. Si svolge di fronte alla sezione veneziana della corte dei Conti il processo contabile per una somma da capogiro, quasi sei milioni di euro, tra danno d’immagine e restituzione di parte degli stipendi percepiti da governatore del Veneto a titolo di risarcimento.
Forse quando nel 2014 scoppiò lo scandalo Mose, un carosello di tangenti senza precedenti per entità e ramificazioni (all’ex ministro della Cultura gli inquirenti contestarono “uno stipendio da un milione e la ristrutturazione della villa), Galan non si aspettava che la partita con i magistrati gli sarebbe costata un salasso di tale portata che, alla fine, dovrebbe sfiorare i dieci milioni di euro. La somma più cospicua è costituita dal danno erariale che il viceprocuratore generale regionale per il Veneto, Alberto Mingarelli, si appresta a chiedere alla sezione giurisdizionale, quantificandolo in 5 milioni e 808 mila euro. L’appuntamento in aula è per mercoledì 18 gennaio, occasione ghiotta per rivisitare tutte le somme che Galan è accusato di aver percepito.
Con la precisione che contraddistingue i giudici, verrà spiegato che 5 milioni 200 mila euro riguardano il danno d’immagine causato da Galan, in passato anche ex ministro delle Politiche Agricole, alle istituzioni pubbliche, con lo scandalo Mose, l’arresto e le accuse di aver percepito denaro illecito mentre rivestiva la più alta carica amministrativa del Veneto. “Ci vorrà molto tempo perché possa essere riparato” ha dichiarato il viceprocuratore Mingarelli. Che ha aggiunto: “Pochi come Galan hanno avuto la fiducia di una vasta comunità come quella del Veneto, ripetuta per un tempo così lungo, cui ha fatto riscontro il compimento di reati così gravi e ripetuti con sfrontate pretese economiche da privati”. La somma raddoppia i 2 milioni 600 mila euro di risarcimento pecuniario concordato quando nel 2014 l’ex ministro si accordò con la Procura per chiudere il procedimento penale. Per far fronte a quell’impegno, Galan ha ceduto allo Stato Villa Rodella, lo storico edificio, immerso nel verde di un grande parco a Cinto Euganeo, in provincia di Padova. È la villa dove ha festeggiato il matrimonio e i cinquant’anni, all’epoca in cui tutti lo riverivano e omaggiavano. Silvio Berlusconi era arrivato in elicottero per onorare la propria amicizia con l’ex manager di Publitalia che per anni gli aveva consegnato la maggioranza dei voti in Veneto.
Ai 5 milioni e 200 mila euro va aggiunto – nella richiesta della Procura – il danno per disservizio pari a 608mila euro, equivalenti al 60 per cento di quanto Galan ha percepito come emolumenti dalla Regione nel periodo 2006-2010. A sostegno di entrambe le richieste, il viceprocuratore Mingarelli si appresta a elencare tutte le tangenti percepite, stando al capo d’imputazione dell’inchiesta Mose. Per il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio, e per i pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini, Galan era praticamente a libro-paga del Consorzio Venezia Nuova. Le cifre? “Uno stipendio annuale di circa un milione di euro … 900 mila euro nel periodo tra il 2007 e il 2008… 900 mila euro nel periodo tra il 2006 e il 2007”.
Così avevano messo a verbale i suoi accusatori, tra cui l’ingegnere Giovanni Mazzacurati, padre-padrone del progetto Mose che oggi si trova negli Stati Uniti ed è malato. Pochi giorni fa è stato visitato da un perito del tribunale di Venezia, dove si sta svolgendo il processo a carico di otto coimputati, tra cui l’ex ministro Altero Matteoli. Il medico che ha avuto un colloquio di alcune ore a La Jolla, ha verificato che l’ingegnere non è in grado di rendere testimonianza, per il semplice fatto che non ricorda il nome dei propri figli, non sa leggere l’ora e crede di essere ancora a Venezia, mentre si trova da un paio d’anni in California.
Oltre a quelle tangenti, che Galan nega di aver percepito, il capo d’accusa faceva riferimento al 7 per cento delle quote di Adria Infrastrutture, società del gruppo Mantovani, formalmente intestate quale prestanome al suo commercialista Paolo Venuti, e al 70 per cento delle quote di Nordest Media srl. Inoltre, “cospicui finanziamenti in occasione delle campagne elettorali”, tra cui 200mila euro da parte di Piergiorgio Baita (gruppo Mantovani), ricevuti tramite la propria segretaria, Claudia Minutillo, era stata anche lei a raccontare quello che il governatore intascava. Ciliegina sulla torta, i lavori di ristrutturazione della villa di Cinto Euganeo, asseritamente pagati da Baita con un sistema di sovrafatturazioni.
A completare il conto salato che Galan rischia di pagare (anche se il suo patrimonio sembra essersi prosciugato con l’alienazione di Villa Rodella) ci sono due cause civili per danno d’immagine, da 200mila euro ciascuna, avviate dal Comune di Venezia e dalla Città Metropolitana lagunare. Recentissima, invece, la costituzione di parte civile della Regione nel processo contabile, proprio per il danno d’immagine causato da colui che per quindici anni fu insediato ai piani alti di Palazzo Balbi, in riva al canal Grande.