Per aver ucciso il migrante nigeriano Emmanuel Chidi Nnamdi, sconterà 4 anni. Amedeo Mancini, l’ultrà accusato di omicidio preterintenzionale, ha infatti patteggiato la pena davanti al gip di Fermo Maria Grazia Leopardi. E’ stato così ratificato l’accordo raggiunto a dicembre tra la difesa, gli avvocati Francesco De Minicis e Savino Piattoni, e la Procura. Era presente all’udienza, assistita dall’avvocato Letizia Astorri, la vedova del migrante, Chenyere Emmanuel, che ha rinunciato alla costituzione di parte civile avendo concordato con l’imputato la rinuncia a qualsiasi pretesa risarcitoria. Mancini si è impegnato a contribuire, con l’aiuto dei propri amici, alle spese necessarie per la traslazione della salma di Emmanuel in Nigeria, secondo il desiderio di Chenyere. Emmanuel Chidi Nnamdi è morto dopo per aver battuto la testa sull’asfalto dopo essere stato colpito da un pugno di Mancini. La lite tra i due scoppiò il 5 luglio 2016 a Fermo perché Mancini chiamò “scimmia” la moglie del nigeriano.
Delle tre aggravanti contestate all’ultrà fermano è stata ritenuta insussistente quella dei motivi abietti e futili, e mantenuta quella razziale, ma – osservano i legali – con una rilevanza concreta “poco più che simbolica“. Infatti, spiegano, “pur potendo comportare un aumento di pena fino a cinque anni, l’incremento concordato era stato di soli tre mesi”. E’ stata invece riconosciuta a Mancini l’attenuante della provocazione, per la quale “è stata applicata – rendono noto i difensori – la riduzione della pena nella massima estensione possibile, pari a tre anni e cinque mesi”. Con la sentenza è stato portato a otto ore giornaliere il permesso di uscita per lavoro dell’ultrà, che resta agli arresti domiciliari.
“Ciò che la sentenza non racconta è che Chinyere, compagna di Emmanuel, oggi ha rinunciato a ogni azione risarcitoria nei confronti di Mancini, a fronte del pagamento dell’unica somma di 5.000 euro richiesta per il rimpatrio in Nigeria della salma di Emmanuel, essendo l’unico desiderio espresso dalla parte offesa”, ha detto l’avvocato Letizia Astorri. “Dopo un lungo processo mediatico, tante rivendicazioni sull’esistenza di una scriminante per legittima difesa, tante ricostruzioni prive di riscontro, super testimoni che hanno raccontato fatti e circostanze oramai smentite, l’unica e sola verità rimasta – ha affermato il legale – è quella raccontata dalla sentenza di patteggiamento. Tutto, quindi, superato da questo: anche i 20 testimoni, che si sono dimostrati assolutamente ininfluenti per la tesi della legittima difesa, ma sicuramente importanti per confermare la futilità dei motivi, purtroppo di stampo razziale, così come aveva già rilevato lo stesso Tribunale del Riesame di Ancona nell’ordinanza del 5 agosto 2016, in sede di misura cautelare, circa le contraddizioni delle due super testimoni, dando credibilità solo alla seconda”.
“Tanto clamore per nulla, qualcuno direbbe, visto che oggi – ha proseguito l’avv. Astorri – c’è un colpevole che si professava innocente e una parte offesa, che tale è sempre stata, che in Italia è venuta senza niente e che di certo non si è voluta approfittare della situazione, volendo unicamente dar pace alla salma del compagno morto in quel maledetto 5 luglio 2016. Con questa condanna, quindi, si spera solo che chi ha sbagliato impari a rispettare il prossimo, chiunque esso sia, che Fermo ritorni ad avere l’immagine di città ospitale, solidale e accogliente che ha sempre avuto e che ora Emmanuel possa finalmente riposare in pace”.
Chenyere, la compagna del migrante nigeriano ucciso a Fermo, “ha rinunciato all’azione civile a fronte sì, dei 5.000 euro, ma anche dell’assicurazione che Mancini non l’avrebbe denunciata per le dichiarazioni false circa la dinamica dei fatti da lei rilasciate alla polizia giudiziaria”. Così i difensori dell’uomo, gli avvocato Francesco De Minicis e Savino Piattoni, replicano alle dichiarazioni del legale della donna. “Nessun testimone, a parte la stessa Chenyere – aggiungono – è stato ritenuto dai giudici e dalla Procura inattendibile o ininfluente: al contrario, proprio la piena credibilità assegnata ai testimoni oculari ha determinato la concessione dell’attenuante della provocazione, che non avrebbe avuto, altrimenti, fondamento alcuno”.