Umberto, quali sono le principali differenze fra Moltheni e UMG?
Le differenze sono totali: il progetto Moltheni è morto e sepolto ormai da molti anni e quindi non ci sono riferimenti tra quella esperienza e UMG. La prima è legata a un progetto cantautorale, mentre UMG è un progetto legato più alla musica che alle parole. Del resto, non mi sento legato ad alcuna tradizione della musica cantautorale italiana.
Qual è la tua opinione sulla nuova leva cantautorale italiana?
Trovo tutto molto scadente, compreso il pubblico che è il riflesso dell’opinione pubblica della società in cui viviamo. Il livello è diventato talmente basso che i numeri e i risultati sono proporzionalmente altissimi. Tutto è diventato inversamente proporzionale. E lo dimostra il fatto che tutti i nomi, che diamo per sottintesi, sono legatissimi nel loro dna alla Rete. Tutti i progetti che nasceranno nei prossimi mesi, anni saranno inevitabilmente figli della Rete e dello smartphone, che attireranno automaticamente un grosso pubblico ottenendo una enorme risonanza mediatica. Però bisogna pagare sempre un pegno alla modernità ed è la bassissima qualità del prodotto. Oggi più fai roba di scarsa fattura e più il risultato è grandioso, mentre più basi il tuo lavoro sulla qualità – e per qualità intendo quella nelle registrazioni, nel linguaggio, nelle modalità e nello stile – e più il risultato è pessimo. Sono i grandi numeri, i clic della Rete a dominare.
Futuro Proximo è il titolo del tuo nuovo disco: i testi delle canzoni, come consuetudine, per te, sono un po’ criptici…
Traspare sempre un certo distacco tra il mio linguaggio e quello del fruitore della mia musica, ma sono convinto che basta soffermarsi per comprendere che non faccio che cose semplici… se si va ad ascoltare e leggere i testi dei miei brani sono tutti in un linguaggio semplice e diretto estremamente traducibile perché i miei testi parlano innanzitutto del tema più importante degli ultimi 20 anni, ovvero la sempre più marcata incomunicabilità tra le persone.
È un paradosso per una società iperconnessa come la nostra.
Ormai facciamo difficoltà persino a chiedere semplici informazioni per strada. Sono stato un ragazzino negli anni 70 e 80 e mi considero un graziato dal tempo e dalle mode e dai cicli storici della vita. Se adesso fossi un teenager scriverei solo cazzate, ma io non le ho mai scritte perché sono nato in un’epoca in cui non c’era questo marciume generalizzato, questa mancanza di realtà tangibile delle cose, dei sentimenti, del linguaggio, dell’atteggiamento nell’arte.
Viene in mente il film Idiocracy di Mike Judge in cui il regista immagina un futuro dove, a causa della maggiore prolificità delle persone stupide, il livello di intelligenza medio raggiunge livelli talmente bassi da mettere a rischio la sopravvivenza del genere umano.
Oggi è tutto un bluff, è tutto falso e non lo nego, difficilmente riconoscibile, anche per chi vi fa attenzione. I miei dischi sono estremamente veri, autentici, strabordano di autenticità ma allo stesso tempo sono molto meno criptici e intraducibili di quello che sembrano.
Perché l’hai intitolato Futuro Proximo?
È un titolo che è venuto fuori spontaneo per un disco sulla incomunicabilità e su una visione legata al prossimo futuro, ai prossimi anni e al modo in cui vedo l’essere umano. È un piccolo specchio che riflette quelli che sono i nostri comportamenti nel prossimo futuro.