L'agenzia ambientale ha concluso con un anno di anticipo la verifica sugli standard di efficienza fissati nel 2012, salvando la regolamentazione dall'ammorbidimento auspicato dal futuro numero uno. Che contesta la teoria dei cambiamenti climatici. Ma allentare gli standard potrebbe non essere conveniente nemmeno per i produttori
Quello in corso in questi giorni all’Epa, l’Enviromental Protection Agency degli Stati Uniti, è uno dei tanti conflitti, ormai nemmeno più sotterranei, tra vecchia e nuova amministrazione Usa. Il passaggio da Barack Obama a Donald Trump ha dato speranza a tutti coloro che continuano a vedere il futuro in termini di combustibili fossili. I vecchi amministratori, in uscita o a rischio di licenziamento, cercano quindi di difendere il lavoro di questi anni. Data l’entità dello scontro, e gli interessi in gioco, è difficile dire quello che succederà.
L’ultimo episodio di questa vicenda si è giocato proprio sul tema delle emissioni inquinanti degli oltre 100mila veicoli di Fiat Chrysler, accusati da Epa di aver goduto di un software di gestione delle emissioni che permette livelli eccessivi di ossidi di azoto. Nelle stesse ore l’Epa ha confermato che le attuali regole sulle emissioni delle auto, invise a Trump e al futuro amministratore dell’agenzia, il repubblicano Scott Pruitt, resteranno in vigore almeno fino al 2025. Lo ha annunciato Gina McCarthy, l’attuale amministratrice dell’Epa, che nota come regole più severe sulle emissioni inquinanti non hanno impedito vendite record di automobili: “Lo sviluppo e l’impianto di una tecnologia avanzata ai motori a benzina è risultata in accordo con un mercato automobilistico robusto, in modo anche più rapido di quanto noi avessimo previsto, e a costi simili o ancora leggermente più bassi rispetto a quelli previsti”.
Cos’ha portato a questa presa di posizione da parte della vecchia amministratrice dell’Agenzia? La risposta è facile: impedire che Trump, e Pruitt, possano invertire il corso delle cose. Facciamo un passo indietro. Nel 2012 l’amministrazione Obama aveva fissato standard di fuel efficiency. Si trattava del primo intervento serio e organico, a partire dagli anni Settanta, che imponeva alla case automobilistiche di raddoppiare le proprie prestazioni in termini di consumo di carburante e raggiungere l’obiettivo delle 50 miglia per gallone (circa 80 chilometri con meno di quattro litri). Le industrie automobilistiche accettarono a malincuore, con una riserva: che nel 2018 ci fosse una verifica dei risultati ottenuti. Quella verifica si è conclusa quasi un anno prima e il risultato, spiega l’Epa, dà ragione alle regole fissate dalla stessa nel 2012. In questo modo quindi, l’Epa mette al sicuro le sue regolamentazioni ambientali (almeno fino al 2025).
Se infatti la verifica fosse stata effettuata tra un anno, sotto la nuova amministrazione di Scott Pruitt, è probabile che il risultato sarebbe stato molto diverso. Pruitt, ex attorney general dell’Oklahoma, è un ardente oppositore della tesi dei cambiamenti climatici. “Gli americani sono stufi di vedere milioni di dollari risucchiati dalla nostra economia, grazie alle regolamentazioni non necessarie di Epa”, ha detto nel passato, prima di essere nominato da Trump proprio all’Epa. Come attorney general dell’Oklahoma, ha guidato lo sforzo legale condotto da 27 Stati americani contro il Clean Power Plan, la legislazione contro le emissioni inquinanti fatta approvare da Obama nel 2015.
Nessun dubbio quindi che Pruitt avrebbe agito in modo più favorevole alle case automobilistiche. Tra l’altro, come raccontato da Reuters a inizio dicembre, l’Alliance of Automobile Manufacturers, un gruppo che rappresenta General Motors, Toyota Motor, Ford Motor, Volkswagen e Daimier, ha cercato di bloccare gli sforzi dell’Epa per riaffermare le sue regole prima del 2025. Un portavoce dell’Alleanza ha spiegato che “la nostra fondamentale priorità rimane quella di trovare un giusto equilibrio tra riduzione delle emissioni, prezzi per i consumatori e tutela di lavori vitali nell’industria dell’auto”. Per questo la verifica di regole ambientali e loro impatto sull’economia si sarebbe dovuto “concludere nell’aprile 2018 e non ora”.
Cosa può succedere a questo punto? Difficile che la battaglia sia conclusa. Se, al momento, amministrazione Obama, Epa e ambientalisti hanno ottenuto una vittoria, lo scontro si riproporrà in altri ambiti e su altre questioni. Probabile che Trump e i suoi, uniti all’industria dell’automobile, tornino alla carica, prendendo questa volta di mira le competenze non tanto dell’Epa ma di un’altra agenzia governativa, la National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA), anch’essa responsabile in tema di efficienza di prestazioni delle auto e che entro l’anno prossimo deve fissare i propri standard per il periodo che va dal 2022 al 2025. Se l’amministrazione Obama aveva cercato di uniformare Epa e Nhtsa, è probabile che quella di Trump cerchi di intervenire per un allentamento di quegli stessi standard proprio attraverso la Nhtsa.
C’è però un’altra possibilità, che viene messa in evidenza da alcuni ambientalisti americani. Per un’industria come quella delle auto, che programma i propri prodotti con anni di anticipo, l’allentamento degli standard ambientali può non essere più così conveniente. Le grandi case automobilistiche americane hanno fatto in questi anni enormi investimenti in tecnologie che aumentano l’efficienza e il risparmio energetico dei veicoli. Il rispetto di questi standard serve non soltanto sul mercato statunitense, ma anche su quelli europeo e asiatico, che hanno ovviamente proprie regole. Sono elementi che potrebbero far apparire poco utile quell’operazione di deregulation che Donald Trump, nel settore ambientale come in tanti altri della vita pubblica americana, sta per scatenare.