Quando una o più parti civili, in un processo storico come quello sulla strage di Via D’Amelio, con le loro conclusioni difensive di fatto scavalcano l’impianto accusatorio della requisitoria della Procura della Repubblica, in un paese normale la notizia dell’avvenimento avrebbe trovato posto, se non sulle prime pagine, almeno su tutti i quotidiani nazionali online e cartacei. A maggior ragione se, all’interno di quelle conclusioni, vengono lanciate accuse precise contro personaggi che spesso calcano la scena pubblica italiana. Ma sin dall’inizio si era capito che il processo Borsellino quater non interessasse. Non interessava a chi aveva motivo di nascondere certe notizie e non interessava neanche alla cosiddetta “antimafia civile”, molto più focalizzata su altri processi. E così un potenziale gigantesco scoop, per cui in altre occasioni ogni giornalista avrebbe fatto carte false, è passato nel totale silenzio, con l’eccezione di un articolo sul Fatto Quotidiano e il quotidiano online Antimafia Duemila.

Così è potuto accadere, senza che ne sia giunta la minima notizia all’esterno, che i pubblici ministeri di quel processo, nell’imbarazzo e nello sconcerto dell’aula, abbiano disertato l’udienza in cui stava esponendo le proprie conclusioni il legale del fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, presente in aula accanto al suo avvocato Fabio Repici. Pochi minuti dopo la costituzione delle parti, infatti, l’unico pm presente è uscito e mai più rientrato.

I pubblici ministeri, così facendo, non hanno avuto la possibilità di vedere un video inedito, attraverso il quale la parte civile ha cercato di ricostruire i movimenti sul luogo della strage di alcuni dei protagonisti di questo processo, come l’allora capitano dei Carabinieri Giovanni Arcangioli, che venne ripreso mentre si allontanava con la borsa del giudice, dalla quale sparì l’agenda rossa, e il dottor Giuseppe Ayala, che entrò in contatto con la famosa borsa e che, negli anni, diede agli inquirenti cinque versioni differenti dell’episodio. Nel video sono stati evidenziati altri elementi che, secondo la parte civile, avrebbero dovuto essere approfonditi, come la presenza del generale Emilio Borghini. Alla fine della proiezione il legale ha concluso così: “Il capitano Arcangioli ha rinunciato alla prescrizione per quel reato. Do per scontato che la procura, dopo queste illustrazioni, riterrà che ci sono degli elementi nuovi che meritano una revoca di quella sentenza di proscioglimento. Qui ci sono almeno tre falsi testimoni”.

La Procura ha scelto di non ascoltare neanche le critiche che l’avvocato di Borsellino ha rivolto al senatore Giorgio Napolitano: “Ho scoperto che oltre ai testimoni, ai testimoni falsi e ai testimoni reticenti c’era anche un’altra categoria, che è quella dei testimoni renitenti, cioè di chi si sottrae al dovere che dovrebbe essere di tutti e, ai sensi dell’articolo 54 della Costituzione, i soggetti istituzionali ben di più”; o la denuncia delle omissioni del generale Mario Mori. Non sono mancate accuse nemmeno a Ilda Boccassini che, secondo Fabio Repici, “arriva a dichiarare il falso sulla fuoriuscita di Gioacchino Genchi dal gruppo Falcone-Borsellino. E invece la dottoressa Boccassini a voi va a raccontare un’altra cosa, che va contro un documento a sua firma… Attendo io un processo a carico della falsa testimone”.

Ma è la conclusione sul ruolo, in particolare, di Enzo Scarantino che i pubblici ministeri avrebbero avuto il dovere di ascoltare, se non altro perché ha ribaltato la versione proposta dalla pubblica accusa, secondo cui Scarantino era un “soggetto criminale” sufficientemente furbo da aver imbastito il castello di bugie in solitudine. Per la parte civile di Salvatore Borsellino, invece, “Scarantino viene portato a confessare mediante tortura. Sono state plurime le vittime nella nostra Guantanamo (il carcere di Pianosa, ndA), però le torture contro Scarantino avevano un dolo specifico: farlo confessare”. Conclude quindi chiedendo la condanna solo per gli altri quattro imputati del processo, “perché sarebbe davvero immorale chiedere la condanna di Vincenzo Scarantino”.

Le conclusioni difensive della parte civile di Salvatore Borsellino sono state quindi disertate dai Pubblici ministeri ma anche dalla stampa, soprattutto quella che si è sempre occupata di mafia e di processi di mafia e che non avrà potuto fare a meno di leggere i lanci Ansa di quel giorno che mostravano, indiscutibilmente, l’importanza e la gravità di ciò che veniva evidenziato. Una defezione però, va detto, ad orologeria. Anzi, forse sarebbe meglio dire “ad partem”.

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