Electron Italia è un’azienda controllata al 100 per cento dal Gruppo Leonardo-Finmeccanica, a sua volta partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, e si occupa di progettazione e realizzazione di sistemi integrati del comparto denominato «sicurezza fisica», fornendo al tempo stesso supporto ingegneristico ad altre società del gruppo; ha collaborato, in questi anni, con numerose istituzioni civili e militari, acquisendo dati sensibili di notevole valenza per la sicurezza nazionale.
Le rappresentanze sindacali di Electron Italia denunciano da mesi un insistente tentativo di vendita da parte di Leonardo a favore di un’altra società, la Medinok Spa, che a detta loro non sarebbe in grado di sostenere e valorizzare le peculiarità professionali e le potenzialità che i lavoratori di Electron Italia hanno messo in campo per Leonardo-Finmeccanica in questi anni. I lavoratori infatti mi fanno un elenco lunghissimo delle “cosucce” a cui hanno partecipato attivamente per quanto riguarda la sicurezza e “Expo di Milano, G8 de L’Aquila, Coni, Enac, Porto di Napoli, Stadio Olimpico” sono solo alcune tra quelle che mi sono state riferite.
Così, come può fare qualunque cittadina, sono andata sul sito di Medinok, e invito anche voi a leggere i lavori che la società stessa identifica come quelli “più importanti realizzati recentemente” tra quelli effettuati, e a farvi un’idea autonoma di quanto siano di livello molto inferiore, considerando, ad esempio, che i 68 lavoratori di Electron hanno sviluppato per gli stadi un sistema di riconoscimento facciale dei tifosi, attualmente in utilizzo per la serie A. Così per dire. Hanno accesso inoltre a informazioni e zone protette da segreto di Stato. “Noi abbiamo maturato delle conoscenze e competenze nell’ambito della sicurezza nazionale, che rischiano oggi di essere disperse perché l’azienda acquirente non ci risulta essere titolata in questo settore” denunciano i delegati Fiom.
Ma non lo dicono solo loro. Numerose sono state infatti le interrogazioni bipartisan in Parlamento e in Senato , atte a sollecitare il governo a fare le verifiche opportune. Tra queste, una è del 21 giugno 2016, firmata dagli onorevoli Fregolent e Miccoli (Pd) e indirizzata al ministro dell’Economia e delle Finanze e al ministro dello Sviluppo economico; si legge testualmente: “Appare evidente che tale trattativa di vendita di Electron Italia, oltre a mettere a rischio la continuità delle posizioni lavorative e le professionalità presenti, potrebbe non tutelare tutte quelle informazioni sensibili che l’impresa detiene, avendo lavorato in questi anni con committenti istituzionali di primo piano”. Il governo risponde che Electron Italia è fuori dal core-business di Finmeccanica, in base a quanto gli viene riferito da Finmeccanica stessa. Non può quindi interferire, se non impegnandosi nella difesa occupazionale.
Perplessità ne abbiamo? Il senatore Cervellini del Gruppo Misto SI/Sel, intervenendo ad una manifestazione dei lavoratori Electron parla fuori dai denti di svendita di un’azienda produttiva “a qualche cosa di difficilmente valutabile”, ma anche di responsabilità di governo ben precise.
Pochissime inoltre le garanzie occupazionali e salariali per questi lavoratori. Claudio Cesari, segretario generale Fiom Roma Est, si sta occupando direttamente di Electron ed è molto chiaro a riguardo. “La tutela occupazionale che ci viene presentata, è di soli 12 mesi a fronte di 3 anni di commesse garantite alla Medinok da parte di Finmeccanica. Per noi non è accettabile, considerando anche la mancanza di garanzie rispetto al contratto integrativo, che potrebbe quindi essere disdetto. Abbiamo firmato accordi, e parlo anche di sei mesi fa, in cui le tutele arrivano ad almeno tre anni, con estensione da parte di Finmeccanica a ulteriori 24 mesi nel caso di difficoltà occupazionali. Non capiamo perché per i lavoratori di Electron Italia non possano essere messe in campo le stesse tutele”. Ce lo chiediamo in tanti, e le rivendicazioni sono unitarie.
I lavoratori sono ovviamente molto preoccupati e hanno manifestato ripetutamente, pronti ad altre mobilitazioni nel caso in cui non si prospettino nuove condizioni; nel frattempo ci chiedono attenzione alla loro denuncia e sostegno. A me sembra il minimo, e al telefono mi lasciano con un “grazie” che io non sono certa di meritare. “Grazie a voi”, butto giù il telefono, e ho il solito amaro in bocca.