DOPO L’AMORE di Joachim Lafosse. Con Bérénice Bejo, Cédric Kahn, Marthe Keller. (Francia/Belgio, 2016). Durata: 95’. Voto 4/5 (DT)
Lei, lui, due bambine, una casa/appartamento, e l’irosa implosione di una separazione tra coniugi che non riesce a concludersi. Tranche de vie tutta in un unico interno (non c’è una sequenza in esterno pura che una) per il settimo film del belga Lafosse, uscito da un paio d’anni dal giro dei festival d’autore, ma ancora dentro alla fascia alta del cinema d’essai. Macchina da presa che si inchioda in un punto, sorta di perno centrale del set/appartamento, e che scruta di continuo da dentro l’abitazione a fuori le vetrate quello che è lo spazio casalingo – un ex falegnameria tramutata in casa con giardino – in cui vivono Marie (una splendida Bejo) e il cupo, rabbioso e fragile Boris (il regista Kahn di Roberto Succo). Lei attende con impazienza che lui se ne vada dalla casa di sua proprietà; lui continua a tergiversare vivendo in un angolo/stanza/”cuccia” chiedendo di continuo la sua parte di quattrini perché è lui ad aver ristrutturato l’abitazione. In mezzo mamme, amici, e le due figlie che osservano intimorite. Limpido e composto dramma di famiglia, sospeso su un continuo simbolico ripetitivo andamento del quotidiano in cui si incrocia la semplicità del preparare cibo come del farsi una doccia, Lafosse (anche sceneggiatore) mescola abilmente il registro introspettivo sentimentale con un sottotesto più politico legato al calcolo delle differenze “di classe” nella coppia riassunte nel conflitto sui soldi da dividersi per separarsi definitivamente. Qua e là i lampi di pianoforte del Preludio in Si Minore di Bach provano a rischiarare l’aleggiante cupo orizzonte di un matrimonio durato 15 anni che non continuerà più. “Cos’è che attraversa il vetro di una finestra senza rompere il vetro? Un raggio di sole”.