Come diceva Ennio Flaiano, “sono sempre vissuto fuori ma resto abruzzese perché dentro ho il pudore dei sentimenti”. Stavolta, però, non ce la faccio a non fare qualche considerazione sparsa sugli eventi che stanno colpendo la nostra terra. Neve, frane, smottamenti, terremoti, disservizi in una combinazione per certi versi inaudita.
Andiamo per ordine, cominciando dalla neve: non credo ci sia nulla di più naturale che in un territorio prevalentemente montuoso nevichi a gennaio. Oggi tutto è emergenza. Nei posti dove veramente si vive di turismo montano, in Alt’Italia, la calamità naturale viene reclamata quando non nevica e gli impianti restano a secco. La neve viene sparata e mantenuta anche nelle piazzette e nei centri pedonali, per migliorare l’accoglienza. Da noi ci si affretta a spalare e gettare sale per non interrompere l’inutile, orrendo carosello di auto dei frequentatori dei bar. Poi si chiudono gli accessi alle stazioni sciistiche.
Faccio una sorta di pendolarismo settimanale da oltre trent’anni e non ho mai neanche pensato alla possibilità di autostrade e ferrovie chiuse per neve. I vecchi carrozzoni statali davano lavoro alle manovalanze che, almeno, garantivano il servizio in ogni caso. I tagli di mezzi e lavoratori imposti dalle costosissime gestioni private fanno sì che alla minima intemperie il servizio si blocchi, garantendo bei risparmi agli azionisti e lasciando a piedi gli utenti tartassati tutto l’anno.
Frane e smottamenti sono la logica conseguenza di decenni di aggressione indiscriminata al territorio con disboscamenti, abusivismo, cementificazioni e così via. Oggi si piange sulle vittime, ieri si sarebbe dovuto sanzionare prontamente e severamente l’edificazione selvaggia, demolendo le costruzioni prima dei danni. Il dissesto idro-geologico sta erodendo il nostro bel Paese ma ci ritroviamo governi capaci di bloccare ogni attività per un anno in vista di una personalissima scommessa referendaria. Con giornali e media al seguito.
Sui terremoti persiste un antico sentimento misto di rassegnazione all’ineluttabilità della disgrazia e superstizione condita di timori divini e invocazione a madonne e santi protettori. Credo sia quasi ora di prendere atto delle purché deboli conoscenze scientifiche a nostra disposizione: l’orogenesi è semplicemente la formazione delle montagne in seguito a spostamenti della crosta terrestre. Per farla breve, l’Appennino è maledettamente sismico: i terremoti in questa zona, senza scimmiottare esternazioni di dubbia scientificità, sono prevedibilissimi. Invece di buttar soldi (che finiscono nelle solite mangiatoie) per le emergenze, uno Stato del terzo millennio potrebbe puntare a incentivare la messa in sicurezza di tutto il patrimonio abitativo, a partire da quello demaniale. Ridando anche fiato al settore edilizio.
In tutto questo, la cosa che davvero dovrebbe destare stupore è che, parlando sempre comunque di una ricca società occidentale, per un minimo di maltempo ampiamente previsto intere porzioni di territorio sono rimaste senza elettricità e senza acqua (!).
Ora siamo in piena emergenza e una voce come la mia, dissonante dai peana filo-governativi spesso accompagnati da retorica nostalgica dei bei tempi in cui faceva veramente freddo e tutti andavamo a lavorare a piedi, può esser bollata con l’epiteto di sciacallo. Lo stesso si faceva ai tempi in cui Berlusconi faceva passerelle sulle macerie dell’Aquila. Sta costruendo le case in tempi record, ci dicevano. Poi pare che quegli appalti fossero truccati, i costi come al solito lievitati, le case deteriorate in tempi altrettanto record. E il meraviglioso, vitalissimo centro della città stenta ancora a ripartire; se e quando lo farà, sarà solo grazie alla fierezza e tenacia dei veri abruzzesi, che sono quelli dei soccorsi, per intenderci.