Il più controverso, contestato, avversato candidato della storia americana, Donald Trump, giura oggi e diventa il 45esimo presidente degli Stati Uniti. L’intera nazione assiste, attonita o entusiasta, a quello che pochi, qualche mese fa, avrebbero potuto prevedere. Il podio dove Trump giurerà, davanti al presidente della Corte Suprema John Roberts e sulla Bibbia di Lincoln, è pronto; il Campidoglio è addobbato con migliaia di festoni e bandiere rosse, bianche e blu. La festa rischia però di essere un’ulteriore occasione di scontro, tensioni e divisioni. Washington in queste ore è presidiata, divisa in zone dove migliaia di persone festeggeranno o contesteranno il nuovo presidente. La capitale, divisa in spicchi e zone di opposte visioni e passioni politiche, è il simbolo di una nazione spaccata.
La cosa è anzitutto chiara all’oggetto di passioni così contrapposte, lui, Donald Trump, che in un tweet ieri ha scritto: “Non è stato Donald Trump a dividere questo Paese, il Paese è diviso da molto tempo!”. La necessità di tornare a essere “one Nation… indivisible, with liberty and justice for all” sembra sarà uno dei temi del discorso inaugurale di Trump. Già ieri il presidente eletto vi ha accennato, partecipando al “Welcome Concert” sulle scale del Lincoln Memorial (peraltro disertato dalle grandi star). Prometto di “unificare il nostro Paese” e far “tornare grande l’America per tutti… inclusi quelli delle inner cities”, ha detto Trump, che poi ha in qualche modo ammesso il disorientamento di molti americani: “Molta gente non ci ha dato grandi possibilità, ma abbiamo capito perché questo è successo”. Per dare il senso di una possibile continuità, al suo arrivo a Washington per l’inaugurazione, Trump ha annunciato che 50 funzionari in posizione chiave, nominati dalla passata amministrazione, resteranno al loro posto (la cosa sembra giustificata anche dal ritardo con cui Trump sta procedendo alle nomine: soltanto 29 dei 660 posti nei vari dipartimenti sono stati assegnati, mentre tra i ministri sono state approvate due nomine su quindici).
Nonostante le dichiarazioni distensive, tutta la giornata pre-inaugurazione è stata costeggiata da episodi di tensione. Lo stesso Trump, con una serie di nuove dichiarazioni, ha contribuito a riattizzare le polemiche. Nessun altra amministrazione ha avuto gente con un I.Q. così” alto, ha spiegato Trump in visita al suo Trump International Hotel, dove ha salutato i suoi supporters e dove, riferendosi proprio al suo hotel, ha detto: “Soltanto un genio può aver costruito un posto come questo”. Trump ha anche ribadito di essere pronto a spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Dall’altra parte della “barricata”, sono continuate le prese di posizione. Sessanta democratici del Congresso non parteciperanno alla cerimonia di inaugurazione. E manifestanti anti-Trump, ieri sera, hanno accolto con insulti e lancio di oggetti i supporters di Trump che si sono presentati al “DeploraBall”, il ballo pre-inaugurazione organizzato al National Press Club. I dimostranti sono stati sgomberati dalla polizia dopo aver appiccato il fuoco a un paio di cestini dei rifiuti.
Oggi la città sarà rigorosamente divisa in settori. L’area attorno al Congresso e il National Mall saranno riservati a chi vuole assistere al giuramento; Pennsylvania Avenue verrà chiusa per la parata (Trump avrebbe voluto che sfilassero, con lui, carri armati e lanciamissili, ma i militari l’hanno dissuaso). Un milione di persone è atteso alla cerimonia. Particolarmente attesi (li ha citati lo stesso Trump qualche giorno fa), i “Bikers for Trump”, calati sulla capitale con le loro moto da tutta America; il loro fondatore, Chris Cox, si è attribuito il ruolo di “servizio d’ordine” nel caso di proteste troppo vivaci. “Non voglio anticipare alcuna scaramuccia, almeno lo spero” ha detto Cox. Ma se la sicurezza di Trump e dei suoi supporter è messa a rischia, ha detto Cox, “penso che i miei ragazzi interverranno”.
A proposito di proteste. Sono molte in queste ore le occasioni, a Washington e in tutto il paese, per esprimere il proprio dissenso. Centinaia di persone marceranno non per celebrare ma per contestare. L’occasione sicuramente più importante è la “Women’s March on Washington”, che muoverà sabato mattina da Independence Avenue, poco lontano dal Congresso. La marcia, con ogni probabilità, porterà a Washington una folla almeno simile a quella accorsa per festeggiare Trump: il Washington Post ha raccontato che mentre 200 bus hanno chiesto di poter parcheggiare il giorno dell’inaugurazione, 1200 sono quelli che arriveranno per la Women’s March.
La marcia – nata da un’idea lanciata su Facebook da un’avvocatessa in pensione delle Hawai, Teresa Shook, rapidamente fatta propria da migliaia di persone – sarà aperta non soltanto alle donne (obiettivi spesso privilegiati di alcune uscite di Trump in campagna elettorale): “La retorica del passato ciclo elettorale ha insultato, demonizzato e minacciato molti tra noi – immigrati di tutti i tipi, musulmani e gente di diverse fedi religiose, coloro che si identificano come Lgbtqia, nativi americani, afro-americani, gente con disabilità e che è sopravvissuta ad attacchi sessuali – le nostre comunità sono colpite e terrorizzate”, recita il testo con cui si chiamano gli americani a dimostrare (le marce non ci saranno solo a Washington ma anche in molte altre città americane).
Mentre il nuovo presidente, come da tradizione, assisterà a un servizio religiosa nella St. John’s Episcopal Church (accanto alla Casa Bianca), alla Metropolitan African Methodist Episcopal Church ci sarà una contro-cerimonia religiosa “per amarci l’un l’altro come amiamo noi stessi e per continuare la battaglia per la giustizia”. Un approccio ben più aggressivo è invece quello adottato da DisruptJ20, una coalizione di gruppi e attivisti che pianificano atti di disobbedienza civile e azione diretta per “far fallire le cerimonie dell’inaugurazione e tutte le celebrazioni correlate – parate, balli… Vogliamo anche paralizzare la città – continuano quelli di DisruptJ20 –, costruire barricate e marciare per bloccare il traffico e i trasporti pubblici”.
Gli attivisti di “Free Weed” distribuiranno invece 4200 canne alle 8 del mattino nel centrale Dupont Circle. Il gesto vuole ricordare come molti Stati, negli ultimi anni, abbiano legalizzato l’uso della marijuana per scopi ricreativi e terapeutici. L’uso della marijuana resta però un reato, a livello federale, anche se l’amministrazione di Barack Obama ha evitato qualsiasi conflitto con gli Stati su questo tema. Il governo di Trump, in particolare il nuovo attorney general Jeff Sessions, potrebbe però cercare di far rispettare il bando. Per rilanciare la battaglia pro-legalizzazione, gli attivisti si accenderanno le canne nel National Mall (area federale, quindi soggetta a restrizioni), quattro minuti e venti secondi dall’inizio del discorso di Trump. In zona, sempre per protestare, ci saranno anche quelli di “Occupy the Inauguration”, un gruppo creato dai verdi che mira a rappresentare il 99% degli americani che, a giudizio degli attivisti, rischia di essere tradito dalla nuova amministrazione.