Neanche il tempo di smettere di ballare, lì, con la sua Melania, che Trump si trova a fronteggiare la prima rivolta della sua era da Presidente. Non fossero bastati i tanti artisti che hanno appoggiato la Clinton durante la campagna elettorale, campagna elettorale che ha visto Trump uscire vincitore a dimostrazione che la buona musica e il bel cinema evidentemente non spostano così tanti voti, ora sembra proprio che gli artisti anti Trump non abbiano mollato il colpo e vogliano fare da contrappunto alla sua politica a suon di concerti, marce, dichiarazioni a effetto. Così, mentre Trump attacca l’Obamacare, di fatto provando a rendere nuovamente privata la sanità negli USA, da Madonna a Amanda Palmer, gli artisti che fin qui si sono detti contrari all’elezione del quarantcinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America alzano la voce, pronti a tenere d’occhio l’asticella della democrazia americana.
E se tutti, ma proprio tutti tutti, hanno sentito Meryl Streep attaccare duramente il capitalista che ora risiede alla Casa Bianca, durante la premiazione dei Golden Globe, e molti hanno sorriso sentendo Madonna dichiarare a gran voce che “Trump deve succhiare il cazzo”, è la volta di Bruce Springsteen di dire la sua. Il Boss, già schierato a fianco della Clinton durante la campagna elettorale, e chiamato da Obama a rallegrare le ultime ore della sua permanenza alla Casa Bianca con un concerto privato, ha detto la sua riguardo il nuovo corso della politica americana, e non sono state belle parole.
Il Boss, prima del concerto con la E Street Band alla Perth Arena, ha detto che considera Trump un demagogo, arrivando a definire la sua partecipazione alle manifestazioni che hanno raccolto qualcosa come cinquecentomila persone tutte riunite contro il presidente in carica una forma di “nuova resistenza”. Parole pesanti dette da una voce autorevole, specie perché molto seguita anche da quel popolo operaio che così tanto sembra aver preso a ben volere Trump, complici le promesse di riportare lavoro negli Stati Uniti, con una politica di protezionismo e di incentivi a mantenere in patria la produzione di manufatturiera. Se infatti i tanti artisti black e rap che hanno sostenuto per gli anni del suo cammino presidenziale potevano non avere seguito presso l’elettorato trumpiano, è chiaro che il rock energico e roots di Springsteen sarebbe la perfetta colonna sonora di chi Trump ha voluto nella stanza Ovale. Sia come sia, se la storia recente ci insegna qualcosa, una certezza possiamo averla: nei prossimi anni si tornerà a sentire ottima musica di protesta.