E' quanto emerge al termine di un'indagine condotta dal gruppo. I costi del richiamo di 2,5 milioni di dispositivi sono stati pari a 5,3 miliardi di dollari. La compagnia è inoltre finita recentemente nel mirino per l'arresto del suo vicepresidente
Ci sono design e manifattura della batteria all’origine degli episodi di incendio dei Galaxy Note 7 della Samsung che si sono verificati negli ultimi mesi. È quanto emerge da un’indagine della società, costretta a ritirare i dispositivi dal mercato e a sospenderne a ottobre la produzione per i timori sulla sicurezza. “La nostra indagine, così come le altre completate da tre organizzazioni industriali indipendenti, ha concluso che le batterie sono state all’origine degli incidenti del Note 7″, ha rilevato Samsung in una nota. E dopo aver identificato la causa del rischio incendio, ha avviato ulteriori analisi per capire le cause del surriscaldamento delle batterie: 700 ricercatori e ingegneri del gruppo si sono messi al lavoro in questi mesi testando oltre 200mila Note 7 e più di 30mila batterie.
Ma ora bisogna riconquistare la fiducia dei clienti, soprattutto dopo che i telefoni con cui il gruppo aveva sostituito quelli difettosi avevano mostrato lo stesso problema. Al tal proposito, “sono state adottate diverse azioni correttive, ha spiegato Koh Dong-jin, a capo della divisione smartphone, per assicurare che questo non accada più in futuro, incluse le misure di sicurezza in fase di progettazione e il piano di 8 punti di verifica delle batterie”. Ora più che mai, ha concluso Koh, “siamo decisi a guadagnare la fiducia dei nostri clienti con l’innovazione per quanto è possibile sulla sicurezza come porta per illimitate e incredibili possibilità di nuove esperienze”.
Samsung ha stimato i costi del richiamo di 2,5 milioni di Note 7 in 5,3 miliardi di dollari. Inizialmente si riteneva che la causa fossero le batterie al litio date da un fornitore, poi era emerso che anche i modelli con nuove batterie erano a rischio incendio. Oltre alla questione dei Note 7, la compagnia è finita nel mirino quando il vicepresidente Lee Jae-yonge è finito indagato per il sospetto coinvolgimento nello scandalo corruzione legato alla presidente sudcoreana Park Geun-Hye. Proprio il 17 gennaio scorso la Procura di Seul , dopo 22 ore di interrogatorio, ha chiesto il suo arresto.