Terremoti e valanghe sono fenomeni naturali che ci lasciano sbigottiti e impotenti. Non possiamo far altro che pensare a quanto è cieca, devastante, inevitabile la furia della natura, e a quanto siamo fragili noi esseri umani. Valanghe, terremoti, frane, alluvioni. L’unica cosa che si può fare è soccorrere, e lo si fa eroicamente. Eppure c’è qualcosa che aggrava ancora più la furia della natura, che a differenza delle apparenze non ci protegge, ma ci lascia ancora più senza scampo: l’avanzata del cemento.
La maggior parte delle emergenze ambientali sono aggravate da disboscamento, impermeabilizzazione dei suoli, erosione, cementificazione selvaggia, abusivismo edilizio, consumo di suolo.
Lo studio realizzato da un gruppo di ricerca del Dipartimento di Ingegneria civile, edile-architettura, ambientale dell’Università dell’Aquila in collaborazione con il Wwf, indica che il cemento è triplicato in 40 anni nelle zone a rischio sismico dell’Appennino. Il dossier è riportato anche da Il Fatto Quotidiano, con un’intervista a Bernardino Romano, docente all’Università dell’Aquila e membro del Comitato scientifico del Wwf: “Sembra quasi – dice Romano – che le amministrazioni, a tutti i livelli, si siano dimenticate del fatto che esiste un pericolo“.
Circa 2.200 km2 di nuova superficie urbanizzata sulla dorsale appenninica. Dagli anni 70 e ’80 il patrimonio edilizio e abitativo delle cosiddette Zone sismiche 1 e 2 (le più rischiose) è aumentato a dismisura.
Ma le montagne non sono spopolate? Appunto, per contrastare lo spopolamento delle montagne, si è permesso di costruire e cementificare, con criteri non sempre rigorosamente anti-sismici. Dagli anni ’50 la popolazione è diminuita, ma le superfici urbanizzate sono più che triplicate anche nei comuni di massimo rischio sismico (per lo più costruzioni di seconde case, alberghi, strutture ricettive, etc..). Così, albero abbattuto dopo albero abbattuto, cemento dopo cemento, muro dopo muro, ai fattori di rischio creati dall’uomo si sono aggiunti quelli già esistenti per natura.
Le stesse piste da sci, dagli anni ’70 sempre più in voga dagli Appennini alle Alpi, hanno causato il disboscamento di interi versanti: eliminando l’azione meccanica di contenimento e di riparo dal vento esercitata dagli alberi, si è facilitata l’insorgenza e la progressione delle valanghe e delle frane.
Non è cementificando, disboscando, inaugurando nuove superstrade e piste da sci, che si aiutano gli Appennini a rinascere.
Credo sia possibile (e doveroso) promuovere in questi luoghi un turismo eco-sostenibile e una ricostruzione (anti-sismica) in sintonia con gli eco-sistemi.
Il consumo di suolo è un problema diffuso in tutta Italia. Dalle montagne al mare: su 3.902 chilometri di coste, il 56,2% è stato cementificato. Dal 1985 sono stati cancellati dal cemento circa 222 km di paesaggio costiero, a un ritmo di quasi 8 km all’anno, aggravando il problema dell’erosione costiera e della subsidenza.
Secondo il dossier Ispra sul “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, ed.2016, nella provincia di Savona sono stati impermeabilizzati 12.139 ettari di territorio, pari al 7,85 dell’intera superficie. Non a caso i centri del ponente ligure sono zone intensamente colpite dal dissesto idrogeologico (frane e alluvioni).
In totale, in tutta Italia sono stati mangiati dal cemento 250 km quadrati di territorio in 2 anni.
Dall’Italia all’Europa: ogni anno in Europa spariscono sotto il cemento 1000 kmq di suolo fertile, un’area estesa come l’intera città di Roma. Ricordiamoci che per tonnellata di cemento, viene emessa 1,1 tonnellate di cemento in atmosfera, aggravando il riscaldamento globale, i cambiamenti climatici, e le emergenze connesse (tra cui anche migrazioni forzate dalle zone devastate dalla siccità o dalle inondazioni).
People4Soil è una campagna promossa da 400 organizzazioni in tutta Europa, vuole raccogliere un milione di firme affinché la Commissione europea presenti una proposta legislativa per bloccare il consumo del suolo. Per impostare un diverso rapporto con la nostra madre terra, che non sia fondato sulla paura e sullo sfruttamento, ma su rispetto,conoscenza ed equilibrio. Perché una terra ferita, è una terra pericolosa.