Acquasanta, Ascoli, Comunanza, Montegallo e Montemonaco. Sono i nomi dei cinque Comuni che insieme a dieci frazioni, tutte in provincia di Ascoli Piceno, continuavano a rimanere isolate la sera del 21 gennaio. Cioè a circa tre giorni dal sisma più recente, quello con epicentro nell’aquilano. Il giorno precedente i Comuni irraggiungibili erano venti. Oltre a Sarnano, nel maceratese, c’erano anche diversi centri del teramano. Ma anche altrove, tra Abruzzo e Marche, la situazione era tutt’altro che sotto controllo.
“Abbiamo atteso due giorni per avere la turbina che ci serviva a raggiungere Frontignano e ieri quando è arrivata eravamo felici. Peccato che fosse senza catene, quindi inutile”, ha raccontato Massimo Valentini vicesindaco di Ussita, uno dei centri maggiormente colpiti dal sisma dello scorso agosto ed ora quasi sommerso dalla neve. Già, la neve.
Quella che è caduta in maniera eccezionale tra il 16 e il 17 gennaio e ha tagliato fuori una parte dell’Italia dall’Italia. “Capisco, anche se non del tutto, che possano rimanere impraticabili a causa dell’eccezionale nevicata le piccole strade che portano alle frazioni, ma che sia bloccata la statale Salaria non è accettabile e qualcuno all’Anas se ne deve assumere la responsabilità. Non può rimanere chiusa una strada di collegamento così importante attraverso la quale devono giungere mezzi di soccorso come le turbine”, ha detto il 19 gennaio il vicesindaco di Arquata del Tronto. Le difficoltà della situazione sono evidenti, ma in ogni caso insufficienti a giustificare l’accaduto. L’eccezionalità più volta evocata sembra davvero una giustificazione inadeguata. Paesi e frazioni irraggiungibili. Strade non percorribili. Non solo quelle “secondarie”, ma anche statali come l’80, quella tra L’Aquila e Teramo, e la 5, la Tiburtina Valeria.
Le uniche notizie per almeno alcune di quelle persone bloccate in frazioni e Comuni, da Facebook e Twitter. Per i meno sfortunati. Perché migliaia di persone sono anche senza elettricità. “L’emergenza non è il terremoto bensì la neve. Abbiamo urgente bisogno di turbine, non bastano gli spazzaneve. Abbiamo frazioni isolate con due metri di neve”, ha detto Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice che eppure il terremoto lo ha vissuto in maniera drammatica.
L’Italia sperimenta la sua debolezza. Certo ci sono ancora una volta i Vigili del Fuoco, ci sono gli eroi di Rigopiano. E poi ci sono i volontari arrivati da altre regioni. Ci sono i mezzi inviati da altri Comuni. Ma tutto questo, per quanto apprezzabile e da celebrare, non può impedire di rilevare la fragilità del sistema. L’incapacità di rispondere prontamente alle calamità. Non è polemica. Non può esserlo. Ma una constatazione appare inevitabile. Il Paese che con orgoglio siede al G7 si mostra un piccolo Stato. Uno Stato per il quale si evoca, a ragione, la solidarietà nazionale. Eppure si alimenta rancore, si fomenta la ribellione. Lo indizia una serie di iniziative, in queste ore. Come il flash mob di protesta davanti alla sede della Protezione civile, a Rieti. Come le urla dei parenti dei dispersi del Rigopiano contro il viceministro Bubbico, all’ospedale di Pescara. Lo indizia la protesta di domenica scorsa degli abitanti di Accumoli e Pescara del Tronto, sulla Salaria.
Quale attendibilità ha uno Stato di fronte alle macerie ancora da portare via nei centri colpiti dal sisma di agosto, ma anche di fronte alle persone in attesa di sistemazione? Quale credibilità ha un’Istituzione di fronte ai centri tagliati fuori dalle nevicate di questi giorni, ma anche di fronte alla rete stradale non transitabile? Ribellarsi, mostrare insofferenza alle parole non è insubordinazione. Non è vilipendio. Ma consapevolezza dei limiti delle politiche statali. La realtà racconta di mancanze e inadempienze. “Se i Comuni di montagna del nostro Appennino non hanno dotazioni efficaci per l’emergenza neve bisognerà chiedersi come mai”, scrive Paolo Pombeni, sul Sole 24 Ore.
“Annibale giunse alle pendici delle Alpi. In testa erano gli elefanti […] Raggiunto il valico delle Alpi, Annibale ordinò una sosta […] All’alba […] fu ripresa la marcia, ma la discesa si rivelò più difficile della salita. Nella notte era caduta la neve e la colonna avanzava lentamente. Giù per i sentieri scoscesi, uomini e cavalli sdrucciolavano, cadendo gli uni sugli altri”. Lo storico Livio così racconta il passaggio delle Alpi da parte del generale cartaginese nel 218 a.C. La neve che non arrestò la lunga marcia di Annibale impedisce di raggiungere abitati a poche decine di chilometri. La storia sembra non averci insegnato nulla.