Alla presenza del vice presidente Mike Pence, del capo di Gabinetto Reince Priebus e di due suoi consulenti più vicini, Steve Bannon e il genero Jared Kushner, Donald Trump ha firmato nello Studio Ovale tre ordini esecutivi, tra cui quello in cui gli Stati Uniti si ritirano dal proposto Tpp, l’accordo commerciale Trans-Pacifico, come promesso in campagna elettorale. Si tratta di una formalità visto che il Tpp non era stato ancora ratificato al Senato, ma rappresenta un deciso cambiamento di rotta nei confronti di alcuni dei suoi predecessori – che dei trattati di commercio internazionale hanno fatto punti essenziali delle loro politiche.
In campagna elettorale Trump ha criticato pesantemente il Tpp (cui partecipano dodici Paesi che si affacciano sul Pacifico), definendolo “un accordo sbagliato per i lavoratori americani”. Sebbene non sia ancora stato approvato dal Congresso, il Tpp ha raccolto giudizi positivi e appoggio da parte di molti esponenti repubblicani e democratici (soltanto i più progressisti, tra cui Bernie Sanders, hanno espresso per anni riserve). La decisione di Trump mostra che il nuovo presidente intende rispettare le promesse della campagna e assumere un tono più aggressivo nei confronti della competizione commerciale internazionale.
Stessa cosa potrebbe avvenire con il Nafta, il North American Free Trade Agreemen negoziato da George HW Bush e firmato da Bill Clinton nel 1994 (anche questo accolto da un consenso bipartisan di democratici e repubblicani). Trump intende rinegoziarlo insieme al primo ministro canadese Justin Trudeau e al presidente messicano Enrique Peña Nieto, insieme “alle questioni dell’immigrazione e della sicurezza ai confini”.
Incontrando alcuni rappresentanti del mondo degli affari alla Casa Bianca, Trump aveva in qualche modo anticipato le sue decisioni: “Vogliamo riportare l’industria manifatturiera nel nostro Paese… Vogliamo tornare a fare i nostri prodotti, non vogliamo importarli, vogliamo farli qui. Questo non significa che non vogliamo commerciare. Vogliamo commerciare, ma vogliamo fare le cose nostre a casa nostra”.
Va ricordato che l’amministrazione Obama ha negoziato per anni il Tpp. Non certo di un giudizio positivo del Congresso, l’ex presidente ha però preferito non arrivare al voto. Sul trattato si è però creato un asse tra Obama e i repubblicani, che hanno sempre sostenuto che il patto avrebbe aperto nuovi mercati alle imprese statunitensi. Lo speaker della Camera Paul Ryan aveva anche dato a Obama l’autorità per negoziare l’accordo e presentarlo attraverso un binario privilegiato al Congresso. Durante la campagna elettorale, anche sulla base dell’ondata di isolazionismo commerciale che la candidatura di Trump ha raccolto e rilanciato, era stato tutto bloccato. La stessa Hillary Clinton, che da segretario di Stato ha negoziato il patto, aveva espresso la preoccupazione che il Tpp portasse benefici alle corporation a spese di lavoratori e ambienti.
Quello che è successo dopo lo sappiamo. Trump ha vinto le elezioni grazie soprattutto all’appoggio della working class di Michigan, Ohio, Wisconsin, fortemente contraria agli accordi. Ora Trump dà a questi settori fondamentali del suo elettorato quanto promesso. La cosa potrebbe però costituire un primo, importante argomento di scontro con i repubblicani del Congresso, soprattutto quelli del Senato, tutti schierati su posizioni decisamente pro-trade.
Il nuovo capo della Casa Bianca ha firmato altri due ordini esecutivi: in uno ristabilisce il bando sull’erogazione di fondi federali alle ong internazionali che praticano aborti o forniscono informazioni a riguardo. Si tratta di un provvedimento che, da quando fu introdotto dall’amministrazione repubblicana nel 1984, è stato revocato dalle amministrazioni democratiche e reintrodotto da quelle repubblicane che si sono succedute. L’ultima volta era stato Obama a cancellare il bando.
L’altra firma Trump l’ha apposta in calce a un memorandum per congelare le assunzioni da parte del governo federale, fatta eccezione per le forze armate, mantenendo così la sua promessa elettorale di ridurre la burocrazia e le spese per questo settore. Il provvedimento è simile a quello firmato dall’ex presidente George W. Bush all’inizio del suo mandato nel 2001.