La Banca centrale europea non è tenuta a risarcire i danni subiti nel 2012 dalle banche commerciali che detenevano titoli di Stato greci a causa della ristrutturazione del debito pubblico ellenico. Infatti l’Eurotower non ha commesso “alcun illecito” nell’attuazione del suo programma di scambio dei titoli di Stato greci. Semplicemente, le banche hanno investito in strumenti molto rischiosi a fini di lucro, sapendo bene quello che facevano e i rischi che si assumevano, vista la situazione del Paese. Lo ha stabilito il Tribunale dell’Unione Europea, con una sentenza relativa alla causa che vede opposte due società con sede in Francia, Nausicaa Anadyomène e Banque d’Escompte, alla Bce.
A fronte della crisi finanziaria e del rischio di default della Grecia, la Bce e le banche centrali nazionali degli Stati dell’Eurozona (Eurosistema), da una parte, e la Grecia, dall’altra, hanno concluso un accordo il 15 febbraio 2012 in base al quale i titoli di Stato greci detenuti dalla Bce e dalle banche centrali sarebbero stati scambiati con nuovi titoli dal valore nominale, tasso di interesse e date di scadenza e di pagamento degli interessi identici a quelli dei titoli scambiati, ma con numeri di serie e date di emissione diversi. Al contrario ai titoli detenuti dagli investitori privati che hanno accettato lo scambio volontario è stato applicato un taglio (haircut) del 53,5%.
Una società e una banca detentrici di titoli di Stato greci, con sede in Francia, hanno chiesto al Tribunale dell’Unione europea di condannare la Bce a risarcire i danni che le misure adottate, e, in particolare, la decisione del 5 marzo 2012, avrebbero loro provocato, danni quantificabili in 11 milioni di euro. Nausicaa e la Banque d’escompte accusano Francoforte di aver violato il legittimo affidamento dei detentori privati, il principio della certezza del diritto e il principio della parità di trattamento degli investitori privati.
Il Tribunale ha respinto il ricorso ed escluso ogni responsabilità della Bce, con la motivazione che le banche commerciali non possono avvalersi del principio di tutela del legittimo affidamento né del principio della certezza del diritto in un settore, come quello della politica monetaria, il cui oggetto comporta un costante adeguamento in funzione delle variazioni della situazione economica. Inoltre, in quanto operatori “diligenti e avveduti“, le banche dovevano presumersi a conoscenza della situazione economica altamente instabile che determinava la fluttuazione del valore dei titoli di Stato greci, nonché del rischio non trascurabile di un default della Grecia. Pertanto, esse non potevano riporre affidamento su un mantenimento provvisorio, da parte della Bce, dell’idoneità di quei titoli: sapevano di investire con un rischio elevato.
Inoltre il principio generale della parità di trattamento non può trovare applicazione in questo caso, poiché le banche commerciali che hanno acquistato titoli di Stato greci, da un lato, e la Bce e le banche centrali nazionali dall’altro, non si trovavano in situazioni paragonabili: infatti, procedendo all’acquisto di titoli di Stato greci, la Bce e le banche centrali nazionali hanno agito nell’esercizio dei loro compiti fondamentali, con l’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi e della corretta gestione della politica monetaria. L’obbligo imposto alla Grecia di fornire un supporto di credito a beneficio delle banche centrali nazionali sotto forma di programma di riacquisto assicurava il mantenimento del margine di manovra delle banche centrali dell’Eurosistema e aveva dunque ad oggetto una situazione che non era paragonabile a quella in cui si trovavano gli investitori privati.