Pendolaria di Legambiente è la fotografia della realtà dell’Italia che viaggia in treno. Un rapporto che di anno in anno – la prima edizione è del 2008 – contribuisce a circoscrivere, catalogare e denunciare le anomalie di un servizio utilizzato ogni giorno da quasi 5,5 milioni di persone che si spostano per ragioni di lavoro o di studio. I treni fanno parte della vita quotidiana di ognuno di noi. Eppure lo Stato in questi anni, non ha mai speso neanche un euro per l’acquisto di treni. Quelli nuovi che si vedono circolare sulle linee regionali sono stati infatti pagati con risorse delle Regioni (e in alcuni casi fondi europei) o da Trenitalia, che li finanziava attraverso i contratti di servizio. E in ogni caso – osservano da Legambiente – se quei treni fossero stati comprati dallo Stato (come avviene del resto negli altri Paesi europei) quelle risorse avrebbero potuto essere investite nel potenziamento del servizio, ossia per avere più treni sulle linee. Roma, capitale d’Italia, secondo Roberto Scacchi, Presidente di Legambiente Lazio, “a questo ritmo di messa su strada di nuovi binari, impiegherà 80 anni per adeguarsi allo standard delle grandi città europee”.
NON SI VIVE DI SOLA ALTA VELOCITÀ
La rete ad alta velocità è riuscita a mandare fuori mercato una line aerea frequentata come la Milano-Roma: i low cost hanno ridotto e in taluni casi cancellato la rotta ma l’Italia – che sembra correre veloce da nord a sud e viceversa – non è solo Frecce. Tanto che, sempre secondo il documento, sono aumentate le disuguaglianze: in molte zone i treni sono stati cancellati, chiuse le stazioni e si è ampliata la differenza nelle condizioni di servizio tra gli stessi pendolari. A spiegarlo è la progressiva riduzione dei treni Intercity e dei collegamenti a lunga percorrenza (-22,4% dal 2010 al 2016). A questi tagli bisogna sommare quelli nei collegamenti regionali: dal 2010 la riduzione nel servizio ferroviario è stata del 6,5%.
LINEE FANTASMA
In Molise non esiste più un collegamento ferroviario con il mare. È scomparso il servizio che dal 1882 collegava Campobasso con l’Adriatico e la città di Termoli. E’ un problema di risorse stanziate dalla Regione, ma non è ammissibile che un fatto del genere avvenga senza alcun intervento da parte del Ministero delle Infrastrutture, perché il diritto alla mobilità è lo stesso in ogni parte d’Italia. A Napoli le corse sulle tre storiche linee suburbane sono passate dalle 520 giornaliere nel 2010 alle 367 nel 2016: con un calo dell’offerta di treni pari al 30%. La conseguenza è che 100mila cittadini ogni giorno sono costretti a prendere la Circumvesuviana. Una situazione analoga la vivono i pendolari della linea Roma-Ostia Lido: il servizio di questa linea suburbana gestita da Atac è inadeguato rispetto alla domanda di spostamenti: 100mila tra studenti e lavoratori negli scorsi anni. Scendendo a sud viene analizzata la linea Jonica che collega Taranto e Reggio Calabria. Con il nuovo orario da Reggio a Taranto sono previsti solo 6 collegamenti al giorno (di cui un solo Intercity diretto per 6 ore e mezza di viaggio) e il treno più veloce impiega 6 ore e 22 minuti, con cambi a Castiglione Cosentino e Sibari. Ma da Sibari il treno non c’è più e si continua in pullman. Le cose non sembrano andare meglio neppure nelle cosiddette regioni virtuose come Lombardia e Veneto dove di fatto nelle ore serali sembra esserci un black-out del servizio regionale su rotaia per spostamenti da città a città.
I TAGLI E GLI AUMENTI
A rendere evidente la situazione sempre più complicata per i pendolari sono i tagli realizzati nelle diverse parti del Paese, con la riduzione del numero di treni lungo le linee, a cui si è accompagnato in quasi tutte le Regioni italiane un aumento delle tariffe. Fra il 2010 e il 2016 il taglio ai servizi ferroviari è stato pari al 18,9% in Basilicata, al 26,4% in Calabria, al 15,1% in Campania, al 13,8% in Liguria. Il record di aumento del costo dei biglietti è stato in Piemonte con +47%, mentre è stato del 41% in Liguria, del 25% in Abruzzo e Umbria, a fronte di un servizio che non ha avuto alcun miglioramento. In questi anni si è inoltre assistito alla chiusura di oltre 1.120 chilometri di linee ferroviarie.
IL FEDERALISMO FERROVIARIO
Dopo 15 anni – secondo Legambiente – si può affermare che il trasferimento dei poteri sul servizio ferroviario alle Regioni non abbia funzionato. Complessivamente la percentuale media di investimento – attingendo dai bilanci regionali – disposto per i pendolari è stata pari allo 0,29%. Tuttavia la soluzione non sembra essere quella di riportare i poteri al Ministero dei Trasporti, quanto piuttosto chiarire le diverse responsabilità. In particolare le Regioni hanno l’incarico di definire il Contratto di Servizio con i gestori dei treni oltre al grande onere di individuare i capitoli di spesa nel proprio bilancio per aggiungere risorse a quelle statali per potenziare il servizio (ossia più treni in circolazione) e per il materiale rotabile (dunque i treni nuovi o adeguamenti strutturali).
In alcune zone del Paese in questi anni si è investito: la Provincia di Bolzano ha stanziato più dell’1% di spesa per i pendolari nell’ultimo anno rispetto al proprio bilancio, arrivando all’1,43% negli investimenti per il servizio e per il materiale rotabile. Negli ultimi anni sono stati però costanti gli investimenti anche in altre realtà come Lombardia, Provincia di Trento, Toscana ed Emilia-Romagna. In ogni caso la spesa per i pendolari rimane del tutto inadeguata perché ancora non sufficiente ad eliminare i gravi problemi che affliggono molte delle linee pendolari italiane.