Dovevano compilare un modulo di una paginetta indicando cariche ricoperte, le funzioni e le attività professionali extraparlamentari. Ma a distanza di sei mesi solo uno su quattro ha risposto al "Comitato sulla condotta dei deputati" che deve attuare il Codice in vigore dall'anno scorso. L'Europa ci bacchetta e chiede di introdurre sanzioni pecuniarie come deterrente. "Impossibile, su quello non c'è agibilità politica", ammette il presidente del Comitato che a febbraio tornerà alla carica
L’Etica è entrata in Parlamento da un anno, ma quasi nessuno se n’è accorto. Il 12 aprile 2016 la Camera si è dotata di un Codice di condotta dei deputati (leggi) per prevenire conflitti di interesse, corruzione e quant’altro possa minare la fiducia dei cittadini verso chi dovrebbe rappresentarli “con disciplina e onore”, come Costituzione chiede. Alla prima occasione però i deputati cui è destinato dimostrano di non avere alcuna intenzione di applicarlo a se stessi, tanto che tre su quattro neppure rispondono alle richieste dell’organismo che deve dargli attuazione. Una figuraccia, di più: la conferma che l’autodisciplina non è il loro forte. Lo sostiene anche l’Europa, il cui organo anticorruzione (Greco) pochi giorni fa ha bollato quel tentativo di autoregolamentazione come “timido” e “vago”, auspicando l’introduzione di sanzioni pecuniarie, giacché l’unico deterrente previsto è la minaccia di pubblicare i nomi di trasgressori e inadempienti. E il primo banco di prova sembra dargli ragione.
L’estate scorsa il “Comitato per la condotta dei deputati” – quattro membri dell’Ufficio di presidenza e sei deputati – per la prima volta ha scritto a tutti i colleghi una comunicazione con un modulo da compilare nel quale indicare le cariche ricoperte, le funzioni e le attività professionali extraparlamentari svolte al momento della dichiarazione. Il Comitato prova dunque ad alzare il tiro sul conflitto d’interessi, confidando nella buona volontà dei colleghi. Per agevolarli nella risposta ha anche avuto la premura di inviare le richieste appena prima della pausa estiva, così che avessero il tempo per pensarci sotto l’ombrellone.
La notizia è che dopo sei mesi sono arrivate all’incirca 170 dichiarazioni perché gli altri 450 deputati non hanno neppure risposto. Zero moduli. Non male come primo test delle future richieste e dichiarazioni che verteranno via via su doni ricevuti (non possono valere oltre 250 euro), conflitti d’interessi, tripli incarichi e quant’altro attenga alla sfera etica del parlamentare e venga espressamente disciplinato dal codice. Così il Comitato corre ai ripari: ai primi di febbraio si riunirà per concordare solleciti e forme di pressione, giacché nel codice non è stato possibile introdurre forme di sanzione diverse dalla pubblicazione dei nomi dei refrattari alle richieste.
Questa “impossibilità” è proprio all’origine del problema, perché pochi eletti voterebbero per multare se stessi. Lo racconta il presidente del Comitato, l’onorevole Pino Pisicchio (Gruppo Misto) che, forte dell’esperienza, a febbraio pubblicherà un libro sui codici etici nei parlamenti del mondo. Allora, come è andata? “A inizio legislatura abbiamo formato in seno all’ufficio di presidenza un gruppo di lavoro ad hoc per riformare il regolamento disciplinando condotte, limiti e sanzioni. Abbiamo lavorato sodo per un anno tirando fuori una proposta condivisa da portare in aula perché venisse votata”. Poi tutto si ferma.
“Evidentemente si sono introdotti elementi di pregiudizialità politica rispetto a quelli di carattere tecnico operativo” e questo ha fatto scuola per quel che sarebbe accaduto in aula “nel momento in cui fossimo andati in aula anche con ipotesi di sanzioni pecuniare. Insomma, non c’era agibilità su questo”. Quindi il gruppo ripiega, facendo un’operazione di “sano realismo”. “Abbiamo proposto il codice di autoregolamentazione all’Ufficio di presidenza perché era la sola via per evitare il voto in aula. Ci sono sicuramente aggiustamenti da fare ma è un passo avanti. Ricordo sul conflitto d’interessi, che è il nostro punto di fragilità, la Camera ha approvato una proposta di legge che è ferma al Senato dal 26 febbraio”.
Sotto il profilo sanzionatorio “abbiamo trovato come punto di caduta finale la pubblicazione dei nomi di inadempienti e trasgressori”. E quei tre parlamentari su quattro che han fatto spallucce? “Non sono sorpreso perché stiamo sperimentando una sorta di “pedagogia della trasparenza” che fa leva sulla spontanea adesione dei colleghi a comportamenti virtuosi. Di più non è stato possibile, anche se auspico che il Comitato riesca a emanare le linee guida per riformare il regolamento entro la fine della Legislatura”.