Massimo Bervicato è accusato di falsa testimonianza: nell'udienza del 10 gennaio aveva scagionato l'imputato per l'omicidio della piccola. Intanto Pietro Loffredo, convinto che sua figlia non sia stata uccisa da Caputo, rinuncia alla costituzione di parte civile nei suoi confronti
Prima Raimondo Caputo (Titò), accusato di aver abusato delle tre figlie della sua ex compagna Marianna Fabozzi e di aver violentato e ucciso la piccola Fortuna Loffredo, punta l’indice proprio contro la sua ex. Poi il padre di Fortuna, Pietro Loffredo, convinto che sua figlia non sia stata uccisa da Caputo, rinuncia alla costituzione di parte civile nei confronti dell’uomo. Infine, finisce nel registro dei pm Massimo Bervicato, il testimone che all’udienza del 10 gennaio scorso con le sue parole sembrava scagionare l’imputato. Ora è indagato per falsa testimonianza in un processo che continua a riservare colpi di scena, scambi di accuse e versioni contrastanti su quanto è avvenuto il 24 giugno 2014 al Parco Verde di Caivano (Napoli) rendendo sempre più complicata la ricostruzione dell’omicidio di Chicca, la bambina di sei anni lanciata nel vuoto dal terrazzo all’ottavo piano del palazzo in cui viveva con la mamma.
Il testimone indagato – I pubblici ministeri Domenico Airoma e Claudia Maone hanno chiesto alla Corte di Assise la trasmissione degli atti al proprio ufficio per poter procedere nei confronti di Massimo Bervicato. Si tratta di una delle persone che si trovavano nei pressi del palazzo dal quale sarebbe stata lanciata Fortuna. In aula l’uomo aveva sostenuto che Raimondo Caputo, imputato nel processo per la morte di Chicca, si trovava nel cortile quando la bambina precipitò. Insieme allo stesso testimone e a un’altra persona. Dunque, secondo questa versione dei fatti, Titò non avrebbe potuto trovarsi sulla terrazza e lanciare la bambina di sotto. In seguito a questa testimonianza, nei giorni scorsi i magistrati hanno interrogato come persona informata dei fatti l’altro uomo che, secondo quanto asserito da Bervicato, sarebbe stato con loro in quel momento. Davanti ai pm, però, questa persona ha escluso di aver visto Caputo nel cortile.
Tra l’altro, proprio martedì 24 gennaio ha testimoniato in aula anche il tenente colonnello del Racis dei carabinieri Anna Bonifazi, psicologa in servizio al reparto analisi criminologica, che ha avuto modo di ascoltare l’amichetta del cuore di Fortuna, figlia di Marianna Fabozzi (indagata nel processo per aver coperto le violenze di Titò nei confronti di una delle sue tre figlie) che agli inquirenti ha raccontato di aver visto Caputo sul terrazzo, mentre tentava di abusare della bambina prima di lanciarla nel vuoto. Un racconto sofferto. Perché, come emerso dalle intercettazioni ambientali, per mesi insieme alle sorelle era stata sollecitata dalla famiglia a non dire la verità agli inquirenti.
L’altra verità – Ma Bervicato non aveva solo dichiarato di aver visto in cortile Caputo, quando la piccola Fortuna è precipitata. L’uomo ha anche detto che la sua attenzione era stata richiamata dalle urla di Claudio Luongo, residente nella stessa palazzina di Chicca. L’uomo, che in passato aveva avuto una relazione con la mamma di Fortuna, Mimma Guardato dalla quale ha avuto anche un figlio, secondo diversi testimoni, si trovava nei pressi dell’androne del palazzo al momento del tragico volo, tanto da essere stato il primo a dare l’allarme, chiamando ad alta voce la madre della bambina. Invece, secondo Bervicato, si trovava in una posizione che non gli consentiva di vedere il corpo della bambina. E quando i magistrati gli hanno chiesto come mai non avesse riferito questa circostanza in sede di indagini preliminari, lui ha risposto che quando era stato interrogato “era assonnato”.
La convinzione del padre di Fortuna – I magistrati, dunque, sono convinti che Bervicato abbia mentito. La sua versione, comunque, era in linea con quando sostenuto da Pietro Loffredo, il papà di Fortuna che non ha mai fatto mistero di non condividere la ricostruzione sull’omicidio della figlia fatta dagli inquirenti. Loffredo è convinto che ad uccidere Chicca non sia stato Caputo, tanto da aver rinunciato alla costituzione di parte civile nei suoi confronti, riservandosi di esercitare tale diritto solo in relazione alla contestazione dei presunti abusi sessuali. E in diverse occasioni, parlando con avvocati e giornalisti durante le pause del dibattimento, il papà di Fortuna ha accusato proprio la famiglia che vive all’ottavo piano del palazzo, di fronte al terrazzo. Ossia Claudio Longo, la sorella Emilia e la madre Rachele Di Domenico, la donna che – a quanto risulta dalle intercettazioni – aveva trovato e nascosto la scarpetta che Fortuna aveva perso durante l’aggressione. Un’accusa formalizzata a dicembre, quando Pietro Loffredo ha presentato un esposto ai carabinieri della Tenenza di Melito. Un verbale di tre pagine nel quale si racconta un’altra storia. Secondo il padre di Chicca, quel giorno la bambina sarebbe andata all’ottavo piano insieme al fratellino e, proprio nell’abitazione dei Luongo, sarebbe stata colpita con un pugno da Claudio che, mentre la sorella avrebbe lanciato la piccola dal terrazzo, si sarebbe allontanato in fretta scendendo le scale. Un’ennesima tesi, diversa anche rispetto a quella dell’imputato che, già nel corso dell’incidente probatorio, ma anche in aula il 10 gennaio scorso, aveva accusato l’ex compagna Marianna Fabozzi di aver lanciato nel vuoto la piccola Fortuna Loffredo.