La rotta balcanica è ormai bloccata, il deserto del Sahara e il Mediterraneo stanno diventando i più grandi cimiteri del pianeta. Intanto, i Paesi europei litigano per una redistribuzione dei nuovi arrivi che non c’è mai stata e pensano a fare accordi per i rimpatri con la Turchia e gli Stati africani e mediorientali. Così, migliaia di migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana guardano oltreoceano, ripercorrendo le orme dei loro antenati che dai porti africani venivano incatenati e portati nelle Americhe per essere venduti come schiavi. Dal Brasile all’America Centrale, passando per le inospitali foreste pluviali, affrontando la criminalità organizzata latinoamericana, subendo stupri, rapine ed estorsioni, 19mila tra africani e haitiani sono arrivati nel 2016 in Messico. L’obiettivo è per tutti lo stesso: attraversare il confine con gli Stati Uniti per iniziare una nuova vita nell’America di Donald Trump che ha dichiarato guerra all’immigrazione.
Africa-Brasile: la vecchia rotta dei nuovi schiavi
Il viaggio in aereo dai Paesi dell’Africa sub-sahariana, sorvolando l’Oceano Atlantico, e l’attraversamento di numerosi confini tra Sud e Centro America appaiono, probabilmente, meno pericolosi delle ormai famigerate traversate del Sahara, con scorte di acqua scarse, niente cibo, le violenze di trafficanti, predoni e polizia e la consapevolezza che il guasto di una delle navette del deserto o delle carrette del mare potrebbe costare loro la vita. Le destinazioni dei voli sono quasi sempre le stesse: Brasile o Ecuador, dove le restrizioni sui visti sono minori che in altri Paesi. Da lì inizia il lungo viaggio verso nord, attraverso la foresta pluviale sudamericana, il passaggio per Panama, fino al Messico.
“Ho visto degli scheletri nella giungla”, ha detto uno di loro all’agenzia Reuters. Sì, perché molti migranti muoiono nella foresta a causa della fame, della disidratazione, di malaria e di dengue, ma anche a causa delle violenze dei trafficanti e delle gang latine. Alcuni di loro pagano i trafficanti circa mille dollari per farsi portare oltreconfine stipati nel retro dei camion. Una soluzione che a molti di loro è costata la morte per soffocamento: “Pensavamo di morire. Non ci hanno trattati con dignità”, hanno poi raccontato una volta arrivati in Messico.
10 mila dollari per arrivare in Messico, la porta di accesso per gli Stati Uniti
La prima meta da raggiungere è quasi sempre la stessa: Tapachula, una piccola città del Chiapas, all’estremo sud del Messico. Non si tratta della fine del viaggio, ma una volta arrivati qui i migranti sanno di aver superato il tratto più difficile e pericoloso. Era il 2013, quando i primi africani sono comparsi nella città al confine con il Guatemala. Da quel momento, il loro numero è cresciuto sempre di più: poco più di mille nel 2014 e oltre 4 mila nel 2015 tra africani e haitiani. Il 2016, però, è stato l’anno record: 19mila arrivi registrati dal governo messicano. Numeri direttamente collegati alle difficoltà incontrate nel raggiungere l’Europa: “Ciò che sta accadendo nel Mediterraneo ha reso quella rotta troppo pericolosa – spiega alla Reuters Claudette Walls, capo dell’ufficio di Tapachula dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) – arrivare in America Latina, risalire fino al Messico per poi tentare di entrare negli Stati Uniti è diventata una nuova rotta”. L’America, quindi, al posto dell’Europa. Al costo di circa 10mila dollari.
Venti giorni per il sogno americano
Arrivati in Messico, i migranti ottengono dal governo un permesso di transito valido per venti giorni. Venti giorni in cui dovranno percorrere i circa 4 mila chilometri che li separano da Tijuana o da altri punti di passaggio per raggiungere gli Stati Uniti. È proprio lì, al confine con gli Usa, che il loro destino si mischia a quello delle migliaia di messicani, cubani e sudamericani stranded, che vivono per strada in attesa di riuscire a passare la frontiera. Le strutture al nord sono già al collasso, il cibo scarseggia e la criminalità organizzata è padrona del territorio. Con i numeri in così rapido aumento, il confine rischia di diventare un enorme campo profughi alle porte degli Stati Uniti d’America.