Camorra

Napoli, l’amicizia tra il boss camorrista Lo Russo e il bomber Lavezzi: per parlare avevano un cellulare “dedicato”

Nuovi elementi sul rapporto tra l'ex attaccante azzurro e l'ex reggente del clan dei ‘capitoni’, collaboratore di giustizia dal 6 novembre, emergono da un verbale raccolto dal pm della Dda Enrica Parascandolo

Il bandito e il campione, come la canzone di Francesco De Gregori. Fino alla primavera del 2010 il reggente del clan dei ‘capitoni’ Antonio Lo Russo e il fantasista del Napoli Ezequiel Lavezzi avevano un cellulare ‘dedicato’ solo alle loro conversazioni. Processi sulle infiltrazioni della camorra nel settore della ristorazione e i verbali di alcuni pentiti avevano reso noto da tempo che i due erano amici. Lavezzi andava a trovarlo alle partite di calcetto a Secondigliano mentre Lo Russo, a sua volta, da capo ultrà della squadra azzurra era tra i pochi ammessi nella villa posillipina del calciatore (giocavano alla play station), e fu l’ispiratore di uno striscione in curva con la scritta “Il Pocho non si tocca”. Ma il dettaglio del telefono dedicato tra il boss camorrista e il vicecampione del mondo emerge solo ora, sette anni dopo la fuga da Napoli e la latitanza all’estero di Lo Russo, e quasi cinque anni dopo l’addio di Lavezzi alla squadra di De Laurentiis per accettare la sontuosa offerta del Paris Saint Germain.

E’ lo stesso Lo Russo, collaboratore di giustizia dal 6 novembre, a rivelarlo in un verbale raccolto dal pm della Dda Enrica Parascandolo col quale racconta i suoi rapporti con il gioielliere Luigi Scognamiglio, l’uomo arrestato con l’accusa di avergli fornito un appartamento nel quartiere Chiaia per aiutarlo a eludere un ordine di cattura e a coltivare i rapporti che gli avrebbero consentito di lì a pochi mesi di scappare verso la Francia, dove rimase nascosto fino al 2014.

Il dettaglio del telefono dedicato esce fuori quando Lo Russo spiega le circostanze rocambolesche con le quali riuscì a fuggire dai carabinieri che nel maggio 2010 lo stavano cercando per portarlo in carcere: “Sono riuscito a sottrarmi all’arresto solo perché sono riuscito a scappare quando sono venuti i carabinieri a casa mettendo la mano vicino al citofono, io ho capito subito, mi sono messo i pantaloncini e sono scappato dal balcone della camera da letto che affaccia sulla traversa di Via Ianfolla. Non c’erano carabinieri dal lato dove sono scappato, a comunque non mi hanno visto. La mia casa è al primo piano ed affaccia su due lati, i carabinieri stavano solo da un lato”.

A quel punto il boss si preoccupò di alcune cose. La prima: dove trovare rifugio (e il gioielliere gli risolverà il problema). La seconda: avvertire Lavezzi di sbarazzarsi del telefonino compromettente. “Mandai a chiamare Ciccio, un cognato di mio cugino anche lui amico di Lavezzi – dice Lo Russo – ci tenevo ad avvisarlo di buttare il telefono dedicato che aveva per parlare con me, non volevo che lui potesse trovarsi nei guai. A casa mia c’era il telefono che io utilizzavo per parlare con lui e temevo che i carabinieri lo potessero trovare e magari facendo una chiamata potevano capire che era un telefono dedicato con il giocatore. Dissi quindi a Ciccio di andare subito ad avvisare Lavezzi in modo che quest’ultimo buttasse il telefono”.