La storia del notaio Paolo De Martinis, con un enorme giro d’affari pari a tremila pratiche, sanzionato dal Consiglio notarile, ed ora oggetto di istruttoria da parte dell’Antitrust, è emblematica della querelle tra l’Unione Europea, Stati membri, professioni intellettuali, libera concorrenza e tutela dei consumatori. La materia è complessa e cercherò di sintetizzarla.

Il notaio De Martinis è virtuoso e concorrenziale da anni, con “tariffe” dimezzate rispetto agli altri notai sincronici. Gli s’è abbattuta la mannaia disciplinare del Consiglio dei Notai di Milano (Cnm), con varie sospensioni dell’esercizio. Lo si accusa di aver lavorato troppo poiché il Cnm ha calcolato che ci vogliono due minuti per leggere ogni singolo foglio di un atto notarile, e che quindi un notaio non può fare più di 15 pratiche al dì. De Martinis ne faceva 20. Da qui le sanzioni, i reclami alla Corte d’Appello, i ricorsi in Cassazione. Battaglia legale ancora in corso.

Il notaio per difendersi ha pure registrato l’ispettore del Ministero mentre gli chiedeva di ignorare le regole della concorrenza e tenere alte le tariffe, altrimenti sarebbe stato radiato. Ascoltando il dialogo (riportato da L’Espresso) sembra che il vero motivo delle sospensioni non abbia a che fare con la qualità del suo lavoro, quanto con l’enorme giro d’affari, sublimato dal dimezzamento delle tariffe. Il notaio ha presentato denuncia alla Procura e all’Antitrust evidenziando di fatto l’assenza di una liberalizzazione tra i notai.

I notai hanno dichiarato nell’ultimo anno un reddito medio di oltre 200.000 euro. Per vero molte funzioni dei notai potrebbero essere ben svolte da altri professionisti (avvocati, commercialisti) ma il legislatore ne ha mantenuto saldo il recinto. In effetti se si prova a chiedere più preventivi a vari notai, si noterà uno scostamento infinitesimale tra essi.

L’Antitrust in passato è già intervenuto sanzionando alcuni Consigli notarili perché ogni notaio deve essere libero di applicare i ribassi che vuole.

Il Consiglio Notarile di Milano ha risposto all’istruttoria aperta di recente dall’Antitrust precisando che “rigetta l’addebito di aver realizzato un’intesa restrittiva della concorrenza (…) nega di aver posto in essere qualsiasi attività volta ad una ripartizione del mercato e ad una limitazione della concorrenza di prezzo. (…) denuncia l’indebita invasione di campo posta in essere dall’Agcm (…) sollecita l’intervento del ministro di Giustizia perché ribadisca la sua esclusiva autorità gerarchica”.

Da qualche decennio si intende applicare alle libere professioni intellettuali (avvocati, notai, medici, architetti, ingegneri, farmacisti etc.) la normativa posta a tutela della (libera) concorrenza, presupponendo che tutto rientri nell’attività di “impresa”. La tesi contraria ritiene che non sia possibile, poiché rendere mercantile la professione intellettuale significa minarne le caratteristiche etiche, svilendone rigore e competenza, proprio in danno del consumatore. In tale ottica un compenso adeguato preserva la dignità e la qualità delle prestazioni.

Elementi essenziali monitorati da Ordini, Consigli e Collegi di disciplina, chiamati ad applicare i Codici Deontologici e a governare i procedimenti disciplinari. La marcata diversità tra professioni intellettuali ed imprese, in Italia è confermata dal Codice Civile e dall’accesso alle prime, consentito solo previo superamento di un esame di abilitazione o di un concorso, dopo un lungo corso di studi e di un praticantato.

L’assimilazione della professione intellettuale all’attività di impresa rappresenta però un principio ormai consolidato nel diritto comunitario della concorrenza, secondo l’ampia nozione di impresa adottata, che qualifica come impresa qualsiasi entità che esercita un’attività economica a prescindere dal suo stato giuridico e dalle modalità di finanziamento. Oltreoceano l’equiparazione delle libere professioni al trade or commerce, con conseguente soggezione alle norme antitrust, è già stata affermata negli Stati Uniti oltre 40 anni fa (U.S. Supreme Court no. 74-70, June 16, 1975, Lewis Goldfarb et ux. v. Virginia State Bar).

La deriva comunitaria in Italia ha avuto inizio con l’art. 1, comma 4, legge n. 287/90, secondo cui le norme vanno interpretate in base ai principi dell’ordinamento delle comunità europee in materia di disciplina della concorrenza. Poi han fatto seguito gli interventi di Bersani, Monti, dell’Antitrust, eliminando ogni tariffa ma poi facendole in parte rientrare calmierate con parametri di riferimento. Un ossimoro. La concorrenza all’italiana.

Lo scontro è dunque aperto. Imporre una visione mercatile ad alcuni professionisti intellettuali appare grottesco perché non si può equiparare un venditore al dettaglio a chi svolge delicate funzioni (con gravi responsabilità), assunte dopo un decennio di studi altamente specializzati. Ci sono professioni come quelle degli avvocati in cui oramai vi è anche fin troppa concorrenza (con svilimento delle funzioni) e si deve recuperare un “equo compenso” a tutela della dignità. E all’opposto professioni in cui effettivamente non c’è alcuna concorrenza sui compensi. Ecco, forse dovremmo trovare un equilibrio.

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