La storia di Roger Federer non è ancora finita. A 35 anni e 174 giorni il tennista – numeri alla mano – più forte di tutti i tempi è di nuovo in finale all’Australian Open. L’ultimo atto di uno Slam, dove mancava da 17 mesi (Us Open 2015) e tanti, forse persino lui, pensavano non sarebbe più potuto arrivare. Al rientro dopo sei mesi di inattività per infortunio per l’operazione al menisco dello scorso anno, ha battuto in 5 set (7-5 6-3 1-6 4-6 6-3) il connazionale Stan Wawrinka. E sul centrale di Melbourne potrebbe andare in scena la finale che ha fatto la storia del tennis degli Anni Duemila. E che a quanto pare non è ancora il passato di questo sport: Federer contro Nadal, se lo spagnolo nell’altra semifinale batterà il bulgaro Grigor Dmitrov, classe 1991.
Federer ha compiuto un’impresa su cui nessuno avrebbe scommesso. “Nemmeno nei miei sogni avrei pensato di arrivare in finale. Trovare Nadal sarebbe irreale”, ha detto lui a fine partita. Lo ha fatto approfittando di un torneo un po’ pazzo, in cui i grandi favoriti Djokovic e Murray sono usciti subito a sorpresa (battuti rispettivamente da Istomin e Mischa Zverev). Ma anche partendo come testa di serie numero 17 del tabellone, il numero più basso degli ultimi 15 anni (non succedeva dal 2001: all’epoca era ancora un teenager). Ha battuto Melzer e Rubin ai primi turni, ha liquidato in scioltezza l’eterno incompiuto Berdych contro cui in molti (forse persino lui) pronosticavano la sconfitta. Negli ottavi la prima impresa contro il giapponese Nishikori, piegato al quinto set dopo tre ore di battaglia. Una formalità il quarto contro il meno talentuoso dei due fratelli Zverev, poi la semifinale capolavoro contro Wawrinka.
Per un’ora l’ormai ex numero uno del mondo ha dominato come ai tempi d’oro, portandosi avanti per due set a zero. Poi il calo: fisiologico, inevitabile. Il suo connazionale, con cui ha condiviso anche lo storico trionfo in Coppa Davis nel 2014, ha cominciato a martellare da fondo campo, rimontando lo svantaggio. Sul 2-2, nel quinto e decisivo set, Federer appariva svuotato, vecchio. Finito, appunto. Si è aggrappato al servizio, anche ad un lungo medical time-out per far riposare le ginocchia un po’ logore, o piuttosto la mente. Ha salvato due palle-break che sapevano di match-point. Poi, quando sembrava solo questione di tempo per la vittoria di Wawrinka, ha piazzato la zampata decisiva. L’altro, l’amico-scudiero-rivale, ha ceduto di schianto buttando via il proprio turno di servizio, lui ha chiuso i giochi in un amen.
A 35 primavere suonate, domenica sarà di nuovo in finale. A sette anni di distanza dall’ultima volta a Melbourne, al rientro da sei mesi di inattività agonistica, 1.666 giorni dopo l’ultimo trionfo in uno Slam (Wimbledon 2012). Magari ritroverà pure Rafa Nadal, il vecchio rivale di sempre. “Il tempo non esiste”, teorizzava Einstein, perché “la separazione tra passato, presente e futuro ha solo il significato di un’illusione”. Parlava di fisica, ma forse pensava a Roger Federer.