Sappiamo oggi, dopo la recente sentenza della Corte Suprema britannica, che il governo dovrà chiedere il voto del Parlamento prima di avviare la procedura per uscire dall’Unione Europea. Questo voto verrà dato, tuttavia, senza che sia possibile comprenderne a pieno le conseguenze, che saranno più chiare solo quando verrà risolto un dubbio che, prossimamente, darà adito ad una nuova causa, questa volta nei tribunali di Dublino.
Si tratterà di trovare il modo di dare risposta alla seguente domanda: può uno Stato che abbia attivato l’articolo 50 per uscire dall’Unione Europea ritirare unilateralmente la propria notifica di uscita, entro il termine di due anni, in caso di mancato accordo o di proposta di accordo insoddisfacente con l’Ue?
Già hanno risposto politici e giuristi, con rispettabili argomenti, sia in modo affermativo che negativo. Entrambi negativamente, per motivi diversi, hanno risposto sia il governo britannico sia i cittadini che sono stati protagonisti del recente caso discusso alla Corte Suprema, a proposito della procedura da seguire per l’avvio della notifica secondo l’articolo 50.
L’Alta Corte e la Corte Suprema del Regno Unito, appurato che, almeno su quel punto, le due parti erano d’accordo, hanno preso per buona l’interpretazione dei due litiganti e non hanno ritenuto necessario approfondire l’argomento ai fini del decidere sul punto in discussione. (vedi qui ai punti 33 e 34). Quindi, l’unica istituzione che avrebbe potuto fornire la risposta risolutiva al quesito, cioè la Corte di giustizia dell’Unione europea, non è stata consultata.
Eppure, anche alla luce del discorso tenuto da Theresa May il 17 gennaio scorso, sarebbe quanto mai utile avere le idee chiare su un punto che l’articolo 50 non affronta in dettaglio e che, come si è visto, si presta a interpretazioni opposte. Ha dichiarato la premier May: “Oggi confermo che il governo metterà ai voti di entrambi i rami del Parlamento, prima che esso entri in vigore, l’accordo finale negoziato tra Gran Bretagna e Unione Europea”.
A questo punto, sapere se la notifica secondo l’articolo 50 è irrevocabile oppure no sarebbe essenziale: nel caso fosse irrevocabile, il Parlamento si troverebbe a decidere tra uscire dall’Unione approvando un accordo, magari sgradito, o uscire senza nessun accordo, dunque una specie di scelta di Hobson. Nel caso la notifica fosse revocabile si tratterebbe invece di una scelta che contemplerebbe anche la possibilità di restare nell’Unione.
Siccome il governo intende lasciare l’Unione per attuare i risultati del referendum popolare, la spada di Damocle della revocabilità lo renderebbe più propenso a concludere un accordo con l’Ue che tenga in maggior conto le indicazioni del Parlamento, per non rischiare che il Parlamento lo bocci.
E’ vero, sarebbe un errore decidere oggi su qualcosa che oggi non è prevedibile: molti elementi sono suscettibili di cambiamento nel corso di due anni e chi, oggi, è favorevole all’uscita potrebbe non esserlo più quando i termini dell’accordo saranno meglio delineati e sarà possibile valutare la distanza tra le promesse e la realtà. Ma, se la notifica fosse revocabile, sorgerebbero altri problemi: quanti altri Stati tenteranno la carta dell’articolo 50 per ottenere qualche vantaggio nella consapevolezza che, mal che vada, sarà sempre possibile dire alla fine ‘abbiamo scherzato, restiamo’?