Chiuse le indagini sulla strana vicenda dell'avvocato Dario D’Isa, figlio del magistrato Claudio D’Isa, e dell’incarico legale anomalo - e della "parcella" da 7 mila euro -ottenuto dalla famiglia Donnarumma di Agerola per seguire una causa in Cassazione senza essere iscritto all’apposito albo. Le indagini hanno stabilito che l'ermellino - membro del collegio che condannò l'ex premier per frode fiscale- non ha fatto nulla di penalmente rilevante. Il legale indagato anche per estorsione e truffa in un'altra inchiesta
L’avviso di conclusione delle indagini mette un punto su una strana vicenda che fu raccontata Il Fatto Quotidiano: l’avvocato sorrentino Dario D’Isa, figlio di Claudio D’Isa, giudice di Cassazione del collegio che ha condannato Silvio Berlusconi per frode fiscale al termine del processo Mediaset, “spese” il nome del padre per ottenere 7.000 euro dal fratello di un imputato che rischiava la galera se non fosse stato accolto un ricorso al Palazzaccio. Ora D’Isa jr è indagato per millantato credito, perché le intercettazioni eseguite tra l’ottobre e il novembre 2013 che ingenerarono il sospetto di una “compravendita” intorno a quella sentenza, e le successive indagini, hanno stabilito che il padre giudice non c’entrava niente, non ha fatto nulla di penalmente rilevante, non ha compiuto nessuna intercessione illecita e si è trovato in mezzo a una “trattativa paralegale” alla quale ha assistito incolpevolmente.
La storia emerse dalla lettura attenta di una informativa dei carabinieri di Piano di Sorrento agli ordini del capitano Marco La Rovere: 141 pagine di trascrizioni di conversazioni di D’Isa jr e di alcuni personaggi gravitanti intorno a lui e a un albergatore di Agerola, Vincenzo Donnarumma, titolare insieme al fratello Giuseppe di un bellissimo hotel, il Sant’Orsola, vista a strapiombo sulle bellezze della costiera amalfitana. Ascoltando le chiacchierate dell’avvocato e ricostruendone gli spostamenti tra Sorrento e Agerola grazie anche a una cimice nell’automobile, gli inquirenti rivelarono la dinamica di un incarico legale dalle tante anomalie. Su tutte, una: perché Vincenzo Donnarumma per far seguire la causa in Cassazione del fratello Giuseppe, sul quale pendeva una condanna in Appello a 2 anni e tre mesi per reiterati abusi edilizi nella struttura alberghiera, si rivolse a D’Isa jr, un avvocato non iscritto all’albo dei Cassazionisti? E poi: perché lo pagò in contanti? E soprattutto: perché, quando il 12 novembre 2013 la condanna di Giuseppe Donnarumma è confermata in Cassazione e si va a cumulare ad altre condanne già passate in giudicato, fino a superare i 4 anni e a spalancargli le porte del carcere, il fratello Vincenzo, furiosissimo al telefono, riesce ad ottenere da D’Isa jr la restituzione dei 7.000 euro di “parcella”? Strano. Molto strano.
Se a questo si aggiunge che nei giorni precedenti alla sentenza Donnarumma, D’Isa jr contattò diverse volte il padre per parlare di denaro e per chiedergli di interessarsi a quel processo, c’era materiale sufficiente per insospettirsi e per andare a fondo. La procura di Torre Annunziata diretta da Alessandro Pennasilico lo ha fatto e le indagini del pm Silvio Pavia si sono concluse con l’ipotesi di reato del millantato credito. Nel fascicolo ci sono anche gli articoli de il Fatto Quotidiano, tra cui un’intervista a Vincenzo Donnarumma rilasciata il 20 maggio 2014, tre giorni dopo la pubblicazione delle intercettazioni. L’imprenditore rispose a domande su come conobbe D’Isa jr, spiegando chi fu a creare il contatto, e perché lo pagò in contanti, cadendo in contraddizione: “Erano prestiti”, disse. Salvo poi giustificare così la restituzione della somma: “(D’Isa jr.) mi aveva assicurato che avrebbe fatto presentare delle memorie aggiuntive, invece non ha fatto niente, non è stato in grado di dimostrarmi di aver lavorato per me”. E poi cadere dalle nuvole alla domanda sulla circostanza di aver scelto un avvocato non cassazionista: “Lo apprendo ora da lei”. Fu naturalmente chiesto a Donnarumma se sapeva di avere a che fare, guarda caso, con il figlio di un giudice di Cassazione: “No. Non me lo ha mai detto. E non ho mai conosciuto il padre”. Non è vero, mentì, lo conosceva, secondo l’informativa dei carabinieri e le successive indagini.
Intercettazione del 14 novembre 2013 tra Vincenzo Donnarumma e due suoi amici, uno dei quali è l’uomo che gli aveva presentato l’avvocato D’Isa. Due giorni dopo la condanna del fratello, Vincenzo Donnarumma e i due discutono della restituzione della “parcella”, avvenuta poco prima nelle mani dell’albergatore. Donnarumma: “(D’Isa jr) ce ne ha dati cinque, poi gli altri due dopo l’Immacolata (8 dicembre, ndr)… gli ho detto va bene non ci sono problemi però li ho invitati sempre e comunque là sopra (all’albergo, ndr) ”. Ed uno dei due amici: “L’importante è che li invitiamo e parliamo da vicino con lui”. Lui chi è? Secondo i carabinieri è Claudio D’Isa, il giudice. Vincenzo Donnarumma annuisce: “Perfetto, io l’ho invitato un paio di giorni là sopra, il padre, la mamma…”. Non si sa se il giudice sia andato in albergo dopo la sentenza ormai passata in giudicato, ma il 29 maggio 2014, nove giorni dopo l’intervista al Fatto, i carabinieri di Pimonte convocano e interrogano Vincenzo Donnarumma e un altro signore presente a quella conversazione, Luigi De Nicola, dimostrando che un incontro tra il giudice e i “clienti” del figlio, prima della sentenza, sicuramente ci fu. È De Nicola che infatti a verbale dichiara: “Nei primi giorni di novembre 2013 venimmo invitati a pranzo al Suor Orsola da Vincenzo Donnarumma. Partecipammo a quel pranzo io, l’avvocato D’Isa, il giudice Claudio e la madre dell’avvocato di cui non ricordo il nome. Mangiammo del pesce, Vincenzo ci raggiunse dopo pranzo e l’avvocato gli presentò il padre e la madre. Poi Donnarumma condusse i coniugi D’Isa a vedere l’albergo e noi rimanemmo a tavola”.
D’Isa jr è indagato anche per estorsione e truffa in concorso con Vincenzo e Luigi Terenzio: secondo altre indagini della Finanza di Massa Lubrense, guidata dal tenente Leonardo Cuneo, i tre sono accusati di aver portato a riparare la loro barca da un maestro d’ascia di Sorrento e poi di aver pagato solo 3.000 euro degli 11.000 pattuiti. L’artigiano prima fu ingannato tramite un giro di assegni scoperti e poi quando reclamò il compenso pattuito, Vincenzo Terenzio gli “suggerì” di non insistere: “Ti conviene continuare i lavori perché non sai con chi hai a che fare”. Aveva a che fare con lui, esponente di una famiglia di Cassino alla quale la Direzione Investigativa Antimafia ha confiscato beni per 150 milioni di euro (40 secondo i diretti interessati). I Terenzio, assolti penalmente dalle accuse di criminalità organizzata, sono amici di D’Isa jr e il padre, per aver partecipato a una festa di questi imprenditori in Svizzera, e precisamente la prima comunione di una nipote di Vincenzo Terenzio, è stato sanzionato dal Csm.