La Corte costituzionale ha deciso sull’Italicum secondo quanto era stato in buona parte previsto e anticipato: ha detto no al ballottaggio, in mancanza di una soglia per accedervi, e ha operato “una riduzione del danno” riguardo le candidature multiple impedendo con il sorteggio al pluricandidato di scegliere il collegio con l’effetto di attutire lo strapotere delle segreterie partitiche. Segreterie, che secondo l’impianto originale, potevano garantirsi dappertutto anche i primi dei non eletti.
Non è intervenuta in modo stringente, come invece sarebbe stato auspicabile, sui capilista bloccati e non ha toccato il premio di maggioranza previsto dall’Italicum per chi raggiunge il fatidico 40%: quello che Renzi si era ritagliato sulla vittoria delle Europee, ora tanto remota da suggerirgli la riesumazione del Mattarellum.
Naturalmente nei commenti politici a caldo si dichiarano tutti contenti della “parziale” incostituzionalità sancita dalla Consulta, quasi che l’Italicum fosse piovuto dal cielo.
Ed in casa Pd, come se l’Italicum non venisse archiviato in modo simile al Porcellum, come se non fosse stato imposto dal governo a colpi di fiducia, come se non fosse stato blindato quando faceva comodo in quanto “legge meravigliosa invidiata da tutti”, prevale incredibilmente un sentimento di “orgogliosa soddisfazione”.
Matteo Renzi, appena raggiunto dalle notizie di agenzia si è dichiarato “molto soddisfatto” perché la sentenza “ha confermato” l’impianto della legge, travolgendo “solo” il ballottaggio che, magnificato nel 2015 come la super-garanzia di sapere chi avrebbe governato la stessa notte dello spoglio, è diventato un incubo dopo le vittorie schiaccianti del Movimento cinque stelle al secondo turno delle amministrative.
Pur se con i capilista bloccati e con un premio di maggioranza confermato, benché oggi appaia quasi irraggiungibile tanto più per quelli che lo avevano confezionato sull’onda di un consenso effimero, la legge per cui si era speso in prima persona Giorgio Napolitano esce sostanzialmente azzoppata e trasformata da un meccanismo che doveva produrre un forte effetto maggioritario in un sistema proporzionale.
E questo nuovo Italicum “emendato” o Legalicum, come lo definisce il M5S che paradossalmente viene additato come il più strenuo difensore del pasticcio targato Renzi-Napolitano, oltre ad avere mutato sostanzialmente natura ha la “dirompente” anche se prevedibile caratteristica di poter essere “utilizzabile” subito.
Infatti la Corte Costituzionale attenta a non creare vuoti normativi ha ritenuto di precisare che “all’esito della sentenza la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione“. Ed immediate sono scattate le dichiarazioni per battere i concorrenti sulla gara, a parole, per andare al voto subito: naturalmente Renzi non ha voluto lasciare il primato a Grillo, Salvini e la Meloni. Sia Lorenzo Guerini che il capogruppo alla Camera Ettore Rosato hanno ribadito che “Il Pd non ha paura del voto” e che l’alternativa è solo tra la riesumazione del Mattarellum, da definire entro un ventina di giorni, oppure il ritorno al voto, quanto prima, con l’ex Italicum alla Camera ed il Consultellum al Senato, in quanto considerate leggi “omogenee” e “armonizzate” dal comune denominatore proporzionale.
Al di là delle valutazioni sulla sentenza della Corte che secondo Alessandro Di Battista “ha seppellito” l’Italicum mentre per Renzi ed i suoi ha apportato solo correzioni marginali al loro capolavoro, sembrerebbe meno remota la possibilità di poter esercitare il diritto di votare.
Ma il prossimo “ritorno al futuro” annunciato dall’ex presidente del Consiglio potrebbe prendere delle strade molto più tortuose: senza contare il dettaglio non irrilevante che in Parlamento gli unici “peones” disposti a lasciare lo scranno prima del fatidico 16 settembre, data in cui maturano i contributi pensionistici, sono quelli del M5S e forse della Lega.