Intervista al monaco che lasciato la guida della comunità. "Non ho rimpianti. A volte si resta perplessi di fronte ai fatti come in questo tempo in cui la vita monastica cattolica ha un momento di fatica e di crisi. Questo mi fa soffrire"
“Ora spero che mi sia concesso di passare un po’ di tempo al mare”. Dopo cinquant’anni alla guida di una comunità monastica, il giorno dopo le dimissioni da priore della comunità di Bose, fratel Enzo Bianchi ha solo un desiderio: quello di contemplare ciò che più che ama, l’infinitezza del mare.
Quanto l’ha meditata e condivisa questa scelta?
“L’ho meditata da sempre perché avevo conosciuto dei fondatori che non avevano voluto dare le dimissioni ed erano rimasti priori fino alla morte creando, qualche volta, dei problemi alla comunità stessa che avevano fondato. Già tanti anni mi fa mi ero detto che non sarei stato uno che sarebbe arrivato fino alla morte con questo servizio del priorato. Nel 2014, quando ho compiuto 70 anni, ho cominciato a pensarci: mi sono consultato con le persone più amiche, con la comunità e ho dato l’annuncio molto chiaro che avrei terminato il mio mandato. Prima ho voluto, tuttavia, che ci fosse una visita canonica di due abati per un parere esterno sulla condizione spirituale, umana, materiale della comunità. Alla fine di questa visita mi è stato chiesto di restare ancora perché c’era da finire lo statuto: l’ho portato a termine, è stato approvato dall’autorità ecclesiastica lo scorso dicembre dopodiché ho dato le dimissioni e ho indetto le elezioni del successore nel capitolo (assemblea, ndr) che facciamo sempre a gennaio. Giovedì mattina, al primo incontro, è stato nominato priore Luciano Manicardi con una maggioranza dei due terzi mostrando un’unità nel corpo della comunità, un’unanimità e il segno di continuità visto che da dieci anni era il mio vice. Il tutto è avvenuto in un clima di grande pace”.
Dopo cinquant’ anni alla guida della comunità ha qualche rimpianto?
“Può darsi che ci siano rimpianti perché a volte nella vita ci sono tempi duri. In una vita come la mia non si ha la certezza di aver fatto il bene. Aspetto il giudizio di Dio su di me quando lo incontrerò nella morte. Sarà solo lui che dirà il bene e quello che non ho fatto di bene oltre ai miei peccati che certamente conosco. Non ho rimpianti. A volte si resta perplessi di fronte ai fatti come in questo tempo in cui la vita monastica cattolica ha un momento di fatica e di crisi. Questo mi fa soffrire”.
Lei ha vissuto tutti questi anni in compagnia di Dio e degli uomini, “nel mondo ma non del mondo”. Ha trovato la forza in Dio fin dai primi passi a Bose. Perché oggi non ci sono più uomini e donne capaci di fare una scelta di fede come la sua? Troppa “sclerocardia” come la chiama lei o l’incapacità di ascoltare Dio nella storia di ciascuno?
“Da un lato oggi c’è un tale dominio di un individualismo esasperato che la vita in comune fa paura. Vivere in una comunità significa sottomissione gli uni agli altri. E poi la nostra esistenza è segnata dal non possedere nulla, dall’avere tutto in comune, da una vita sobria. Non possiamo più dire povera perché in Occidente non è vero che ci sono cristiani che vivono la povertà ma tutto questo per le nuove generazioni è molto difficile. Noi vediamo che quando arrivano i giovani in comunità ci vuole più tempo per instradarli sulla via monastica anche perché la tradizione cristiana si è spenta. A volte abbiamo a che fare con giovani che hanno un’infarinatura di cristianesimo e che conoscono poco il Vangelo”.
La sua decisione di dare le dimissioni è una scelta controcorrente in un’epoca in cui nessuno sa lasciare. Un messaggio alla Chiesa, alla politica?
“Non pretendo di dare messaggi ma credo che lasciare la presa sia un’arte che va assolutamente esercitata nell’anzianità. Io ho ancora le forze, sto bene, ho 73 anni ma credo che anche il riconoscere che le nuove generazioni possono prendere un’eredità è un atto di fiducia verso di loro, verso i giovani. Questo segno di fede, di fiducia in loro volevo assolutamente darlo”.
Nella sua lettera di dimissioni ha scritto: “Nella storia di ogni nuova comunità monastica il passaggio di guida dal fondatore alla generazione seguente è un segno positivo di crescita e di maturità”. Cosa augura ai suoi fratelli e sorelle?
“Di essere umani tra di loro. Se sono umani saranno anche dei buoni monaci. Facciano prevalere l’umanità. Tra tutte le virtù possibili non dimentichino mai la misericordia che è quella che rende possibile tutto”.
Ora avrà più tempo per dedicarsi alla scrittura, alla cucina, al suo orto, alle passeggiate.
“Il mio più grande desiderio è passare un po’ di tempo al mare. Amo il mare all’infinito e spero che ora mi sia concesso di poter stare ogni tanto in riposo al mare avendo tempo di meditare, di contemplare, di scrivere in una forma molto eremitica. Credo che lo farò e la comunità me lo concederà”.
Quindi si trasferirà nella fraternità di Ostuni in Puglia?
“No. Non si tratta di fraternità. Credo che starò nei ‘nostri mari’ in Liguria o in Sardegna ma non andando in un’altra fraternità ma cercando delle soste di solitudine proprio guardando il mare che amo molto”.
(immagine da YouTube)