Una correzione rinviata alla primavera e possibilmente dimezzata rispetto alle richieste europee. Oppure il netto rifiuto di intervenire sui conti per guadagnare consenso in chiave elettorale. Sono le strade che il governo Gentiloni potrebbe percorrere dopo la lettera con cui la Ue ha chiesto una correzione dei conti pubblici dello 0,2% del pil, pari a 3,4 miliardi di euro. Lettera a cui Roma deve replicare entro l’1 febbraio e a cui il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha assicurato che risponderà per tempo. Il titolare del Tesoro e il premier Paolo Gentiloni puntano a ottenere almeno uno sconto alla luce dei costi legati al sisma del Centro Italia. Gentiloni, nei giorni scorsi, ha scritto direttamente al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker per esplicitare la necessità di Roma di impiegare risorse finanziarie per far fronte alle conseguenze delle continue scosse. Che comporteranno uscite di carattere “strutturale”, come ha riconosciuto lo stesso commissario agli affari economici Pierre Moscovici, il quale però resta convinto che quelle spese “non entrano nella discussione in corso”.
Al momento comunque le opzioni del se e come intervenire restano tutte aperte. Compresa, secondo il Corriere della Sera, quella di rifiutarsi di varare una manovra correttiva. Lo scenario di scontro totale per ora è solo ipotetico, ma stando a quanto scrive Repubblica le probabilità che si concretizzi sarebbero alte se, dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum, si andasse davvero a elezioni anticipate a giugno, come vorrebbe Matteo Renzi. Se si decidesse invece di procedere con la correzione, Gentiloni e Padoan puntano a rinviarla fino all’approvazione del prossimo Documento di economia e finanza, in primavera. “Come sempre rispetteremo le regole europee ma senza in alcun modo manovre che possono avere effetti depressivi e confermando l’azione riformatrice che l’Italia sta portando avanti”, ha spiegato il premier in visita istituzionale a Madrid, dicendosi fiducioso che l’Ue “non sarà affatto sorda e cieca di fronte alle circostanze eccezionali” affrontate dal Paese, “altrimenti farebbe un pessimo servizio innanzitutto a se stessa”.
La decisione è ora tutta politica e non esclude nemmeno l’andare dritti verso l’apertura di una procedura d’infrazione per debito eccessivo se dovesse risultare più conveniente ai fini, appunto, del consenso a breve termine in chiave elettorale. Ma questo avrebbe un prezzo: se Bruxelles attivasse il procedimento sanzionatorio, il costo del debito pubblico italiano salirebbe, perché aumenterebbe il rischio Paese percepito dagli investitori che di conseguenza chiederebbero rendimenti più alti sui titoli di Stato. Tanto più in un anno in cui, a partire dal prossimo aprile, il programma di acquisto di titoli di Stato (quantitative easing) della Bce inizierà ad essere ridotto. Più in generale, ha ricordato Padoan a margine dell’Ecofin a Bruxelles, “sarebbe un grosso problema in termini di reputazione che in questo periodo recente l’Italia ha rafforzato. Sarebbe una inversione a U rispetto a quanto fatto”.
Resta il fatto che se davvero si profilasse una chiamata alle urne tra pochi mesi sarebbe molto difficile trovare dei partiti disposti a sostenere tasse o tagli. Di sicuro c’è un pezzo di maggioranza che ha già le idee chiare: “Le elezioni, a giugno o quando saranno, non c’entrano. Noi di Area popolare non siamo disponibili ad alcuna manovra aggiuntiva richiesta dall’Unione europea, non la voteremo mai – ha messo in chiaro il capogruppo di Area Popolare alla Camera Maurizio Lupi – L’obiettivo prioritario, fissato dalla legge di stabilità italiana (ma dovrebbe esserlo anche per l’Europa) è finanziare la crescita. Siamo assolutamente contrari quindi a ulteriori tasse che graverebbero sui cittadini e anche a tagli di spesa che non servano ad aiutare i terremotati”.