Sotto Natale mia madre si è sentita male ed ho dovuto chiamare un’ambulanza. A scegliere in quale ospedale è stato il 118, in base alle disponibilità dei posti letto. In fin di vita, poveretta, si è ritrovata al pronto soccorso del policlinico Gemelli. Io, conoscendo la reputazione dell’ospedale, tra me e me ho pensato che ci era andata bene.
Ma quel pronto soccorso pur moderno e organizzato ai miei occhi è sembrato una bolgia infernale: barelle dappertutto, alcune divise tra loro da piccoli separè, una accanto all’altra, disseminate nello spazio che avanzava. A far fronte a quella situazione terribile due medici e due infermieri: un mare di richieste, chini sui malati e con il telefono sempre in mano, al computer per registrare i casi, ma soprattutto alla ricerca affannosa di posti letto liberi nei reparti dove mettere almeno i casi più urgenti. L’ospedale non riusciva ad assorbire la richiesta di ricoveri e i malati anche gravi restavano nelle barelle per giorni e giorni.
A mia madre è andata discretamente: pur in gravi condizioni, un vero codice rosso, è stata trasferita in reparto solo 24 ore dopo il suo ingresso.
Questa la situazione generale:
1. I numeri ci dicono che negli ospedali romani la mortalità nei pronto soccorso è più che raddoppiata, il che vuol dire che la gente non sopravvive anche quando potrebbe;
2. Un pronto soccorso è un punto di passaggio: quando diventa suo malgrado un luogo di degenza la mortalità assume fatalmente il profilo della degenza;
3. l’attesa in un pronto soccorso prima di essere visitati è molto lunga ovunque, fino a 4-5 ore per un codice verde e un tempo indefinito per un codice bianco;
4. In Italia sono 30 milioni gli italiani che accedono ogni anno ai pronto soccorso, con un tasso di crescita costante stimato in un 5-6%;
5. Le vere emergenze non superano il 15% degli accessi quindi più di 7 persone su 10 ingolfano gli ospedali per problemi che potrebbero essere risolti nel territorio.
Perché? I motivi sono tanti di vario ordine e grado.
In primo luogo la gente che sta male cerca aiuto laddove sa di trovare aiuto: la gente preferisce aspettare ore al pronto soccorso piuttosto che rivolgersi al medico di base perché il pronto soccorso una risposta la dà sempre e comunque, mentre quella del territorio è incerta e insicura; il pronto soccorso per molti rappresenta l’unica alternativa alle lunghe liste di attesa. A nulla è valso il ticket per i codici bianchi: molte persone preferiscono pagare 20 euro piuttosto che aspettare magari settimane per fare un esame o una visita
In secondo luogo le politiche di risparmio tutte incentrate sulla riduzione dei posti letto e sulla chiusura degli ospedali minori. Dal 2000 ad oggi sono stati soppressi più di 71.000 mila posti letto. L’Italia come posti letto è largamente sotto la media europea. Questo taglio drastico non è stato in nulla compensato con un potenziamento e/o una riorganizzazione del territorio generando una situazione di ulteriore abbandono.
In terzo luogo il taglio del personale: in un anno il servizio sanitario nazionale ha perso almeno 10.000 dipendenti, si è passati ai 653.352 del 2015 dai 663.793 del 2014. Rispetto al 2009, anno con il massimo numero di occupati nella sanità pubblica, a fine 2015 risultavano impiegate 40.364 persone in meno.
Dire che le responsabilità di tutte queste cose sono della politica che non svolge funzioni decenti per la sanità è sotto gli occhi di tutti. Oggi tutte le politiche sanitarie, nessuna esclusa, andrebbero radicalmente ripensate. Quando ci ammaliamo sono le brutte politiche ad ammazzarci, colpendo sempre i più deboli, quelli che non hanno voce e non protestano mai. Nonostante questa verità, spesso ci capita di prendercela con le persone sbagliate. Quella sera nel pronto soccorso del Gemelli i malati e gli operatori mi apparivano come vittime diverse della stessa brutta politica.
Ora mia madre non c’è più. Nel reparto di medicina interna in cui era ricoverata è stata curata e assistita come si deve. A nome suo e a nome di milioni di malati come lei ringrazio tutti gli operatori della sanità per essere operatori preparati e persone con coscienza. Questa coscienza oggi è l’unica difesa reale che hanno i malati nei confronti della brutta politica.