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Usa, il primo incontro di Trump è con la May: “Dobbiamo ridare prosperità ai nostri popoli”

Le danze diplomatiche alla Casa Bianca dell’era Trump cominciano quindi con un vecchio adagio: la Special relationship che lega Stati Uniti e Regno Unito. Il legame più solido tra le due parti dell’Atlantico, ma che va rinnovato e rafforzato alla luce di circostanze e leader nuovi

Le relazioni tra Usa e Uk sono sempre state speciali, ma non è certo un caso che il presidente Donald Trump nei suoi frenetici primi giorni di governo abbia accolto a Washington il premier Theresa May, portabandiera di Brexit prima e dopo l’uscita di scena di David Cameron. Le danze diplomatiche alla Casa Bianca dell’era Trump cominciano quindi con un vecchio adagio: la Special relationship che lega Stati Uniti e Regno Unito. Il legame più solido tra le due parti dell’Atlantico, ma che va rinnovato e rafforzato alla luce di circostanze e leader nuovi. La premier britannica è il primo leader straniero che il presidente riceve al Campidoglio a pochi giorni dal suo insediamento, quasi a ritrovare il perno di una politica estera che il tycoon sembra pur intenzionato a tracciare strada facendo, a partire dalla telefonata domani con Vladimir Putin: “Non lo conosco”, afferma, “ma spero in buone relazioni. Vediamo cosa succede”.

Prosperità e fermezza. Queste intanto le basi su cui May e Trump si riconoscono. Portati insieme sul podio nella East Room della Casa Bianca dalla scelta sulla Brexit da una parte e da una campagna elettorale inarrestabile dall’altra. “La Brexit sarà fantastica per il vostro Paese“, ha detto Trump, ricordando che lui l’aveva prevista. “Avrete la vostra identità e le persone che vorrete nel vostro Paese, potrete fare accordi commerciali liberamente senza che nessuno vi guardi”. Ed è questo il messaggio che Theresa May riporta forte e chiaro a Londra, la garanzia che nell’incertezza per la nuova strada fuori dall’Europa si può guardare all’America con fiducia. “Dobbiamo ridare prosperità ai nostri popoli“, ha scandito quindi May, indicando la missione comune.

Eppure la premier Tory sembra venuta a Washington anche ad attutire qualcuno degli acuti di Trump, proponendosi in cambio di intercedere ancora presso i partner europei. Così sulla Nato da una parte ha rassicurato che Trump le ha confermato di essere “al 100% a favore dell’Alleanza”. E dall’altra ha promesso la prima linea nell’esortare i partner atlantici a far fronte alle proprie responsabilità finanziarie, rispettando il 2% della spesa per la difesa. Sulle sanzioni a Mosca May ha ribadito che per sollevarle la precondizione è la piena attuazione degli accordi di Minsk sulla crisi ucraina, seguita dall’ammissione di Trump che è “troppo presto per parlarne con la Russia”. Nelle scorse ore poi non era passato inosservato il suo ‘rimprovero’ sulle torture, che Trump si è detto convinto funzionino nella lotta al terrorismo. Anche se oggi ha frenato: “Decideranno i generali”. Anzi, il segretario alla Difesa James Mattis, contrario al waterboarding: “Non sono necessariamente d’accordo, ma il capo del Pentagono prevarrà su di me, perché gli darò questo potere”, ha assicurato il tycoon.
Così, chi si aspettava subito una rievocazione del binomio Reagan-Thatcher dovrà aspettare sviluppi. Per ora sono prove d’intesa tra la ‘figlia del pastorè e il businessman star della reality tv, che non potrebbero essere più diversi, ma forse no: “Abbiamo in comune l’interesse per la gente comune che lavora”, ha detto May, trasmettendo tra l’altro l’invito della regina Elisabetta al presidente e alla first lady per una visita di Stato a Londra entro l’anno. Conferenza stampa corta, anzi brevissima rispetto all’era Obama, con momenti di leggerezza ma composta. E cauta. Anche quando Trump è stato interpellato sulla sua prima ‘crisi’ internazionale, lo scontro con il Messico: il presidente ha confermato di aver avuto un colloquio di un’ora oggi con il presidente messicano Enrique Peña Nieto che ha cancellato la sua visita a Washington prevista per martedì prossimo. Una telefonata “molto buona”, ha affermato, pur insistendo sulla necessità del muro, di una revisione del Nafta e sostenendo che sul commercio il Messico “ci ha ridotto in poltiglia”.