Una gara d’appalto preventiva viziata da un errore di valutazione dei vertici della Protezione civile. E una serie di sgangherati tentativi di recuperare a quell’errore, senza mai riuscire a trovare il bandolo della matassa. Ecco cosa c’è alla base di molte delle difficoltà che stanno caratterizzando l’emergenza post-terremoto nell’Italia centrale. Dove i moduli abitativi temporanei vengono consegnati a ritmi ridotti, e i sindaci si vedono costretti ad assegnare le casette ricorrendo al sorteggio. Dov’è l’errore? Nell’aver pianificato a priori, nel 2014, una strategia d’intervento che non prevedeva in alcun modo il ricorso ai container. Solo dopo i terremoti del 24 agosto e del 30 ottobre scorsi ci si accorge che quei container servono. Allora si indicono nuove gare d’appalto, ma lo si fa in fretta, e lo si fa male. Col risultato che le spese aumentano, la macchina dell’emergenza s’ingolfa, tanto che – scriveva Libero – al 18 gennaio mancavano ancora 1300 posti nei container. E gli sfollati devono rassegnarsi a sperare nella buona sorte per poter ricevere le chiavi della loro casetta.
La gara preventiva: solo casette, niente container. “Non si prevedeva di dovervi ricorrere” – Tutto inizia nell’aprile del 2014, quando la Protezione civile decide di aprire un bando (un “Accordo quadro”, tecnicamente) per “la fornitura, il trasporto ed il montaggio di soluzioni abitative in emergenza e i servizi a esse connessi”. Non c’è stato alcun sisma grave, nelle settimane precedenti, ma l’allora capo dipartimento, Franco Gabrielli, sceglie di lanciare una gara preventiva. Meglio indire simili bandi in tempo di quiete, così da farsi trovare pronti nel momento della tragedia: questo era il ragionamento alla base della procedura. Che viene gestita, come da prassi, dalla Consip (la centrale d’acquisti che fa capo al ministero dell’Economia).
La gara si chiude oltre un anno dopo, il 5 agosto 2015, e ad aggiudicarsela è il Consorzio nazionale dei servizi (Cns) di Bologna, iscritto alla Legacoop: spetterà al Cns costruire le casette per gli sfollati (le cosiddette Sae: Soluzioni abitative emergenziali) in caso di calamità nei successivi 6 anni. La gara non prevede in alcun modo, però, la realizzazione di container o strutture utili a superare i primi mesi di crisi post-sisma. Una leggerezza o un errore nella pianificazione dell’emergenza? Secondo i tecnici della Consip che hanno seguito quei dossier, “il punto è che all’epoca non si prevedeva che, nella gestione delle future crisi, si sarebbe deciso di puntare sui container”.
La Protezione civile era invece convinta che, dopo la fase iniziale delle tende, si passasse direttamente alle Sae. “Del resto Gabrielli era stato Prefetto all’Aquila durante l’emergenza post-sisma del 2009. E lì il modello imposto da Berlusconi e Bertolaso era stato quello delle new town: dopo le tende, subito le case di legno, senza il periodo intermedio nei container”. Così invece non è stato nel caso del terremoto che ha colpito il Centro Italia: “Evidentemente il governo ha ritenuto opportuno montare i container per superare l’inverno. Però nel 2014 non si poteva immaginare che la tragedia si sarebbe verificata in un territorio di montagna e a ridosso dei mesi più freddi dell’anno”. Ma allora che senso ha fare un bando preventivo che non tenga conto di tutti i possibili scenari? In Consip si giustificano così: “Questo non dovete chiederlo a noi. Qui ci siamo limitati a gestire le procedure seguendo le direttive che ci dava la Protezione civile. Certo è che nel 2014 l’impiego dei container non veniva visto con favore da nessuno. Questa è stata una scelta adottata dal governo Renzi”.
Il pasticciaccio dell’appalto per i container. Necessarie 3 edizioni della stessa gara, una va deserta – Il governo e i container, dunque. E di nuovo gare d’appalto pensate male e gestite peggio. È l’11 novembre del 2016 quando il Consiglio dei ministri, presieduto da Matteo Renzi, licenzia il decreto legge sulle procedure d’emergenza da adottare nel Centro Italia. Il giorno seguente, ecco la pubblicazione del bando (“Procedura negoziata d’urgenza”) da parte di Consip. Obiettivo? La “fornitura di beni e servizi connessi, finalizzati all’allestimento delle aree di accoglienza”. Il bando prevede tre lotti (tre diverse forniture): uno dei quali riguarda proprio il “noleggio di container abitativi provvisori e servizi connessi”. Base d’asta fissata a 80 milioni di euro. La gara si chiude il 17 novembre e la vincono 6 diverse ditte: dovranno consegnare 758 container entro un mese.
Ci si accorge subito, però, che questa fornitura è insufficiente a soddisfare le richieste crescenti dei Comuni del cratere, anche perché le scosse continuano e le perizie che sanciscono l’inagibilità delle case si moltiplicano.
Si decide di fare un secondo bando, per cercare sul mercato nuovi container. La gara (base d’asta di 20 milioni per i container) si apre il 20 novembre e si conclude 5 giorni dopo in modo clamoroso: deserta. Nessuna ditta ha risposto alla chiamata. Spiega un tecnico della Consip che ha seguito la procedura: “Dopo la prima gara abbiamo pensato di modificare i requisiti dei container, passando da un’altezza di 2 metri e 70 centimetri a quella di 2 metri e mezzo”. Perché? “Ci sembrava, da alcuni sondaggi che avevamo svolto durante la prima gara, di poter avere maggiori riscontri sul mercato”. E menomale: visto che la procedura si conclude in un nulla di fatto.
Risultato? Si deve passare ad una terza gara. Una terza “procedura negoziata d’urgenza” in cui si mantengono gli stessi requisiti sulle misure standard (2 metri e mezzo d’altezza) ma si alza la base d’asta: da 20 a 36 milioni. “Era inevitabile – spiegano in Consip – visto che molte imprese avevano disertato il secondo bando proprio temendo scarsi guadagni. Parecchie ditte del settore, inoltre, avevano quel tipo di container depositati all’estero, e dunque i costi di trasporto erano notevoli”. Sarà, ma forse anche la modalità della procedura ha favorito il lievitare della base d’asta. Lo riconoscono anche i tecnici della Consip: “Ovvio, indire una gara subito dopo il terremoto invoglia gli imprenditori ad aumentare le loro pretese, consapevoli che in tempi di emergenza i costi di mercato si alzano”.
Dai ritardi nella consegna a quelli per la realizzazione delle casette – Ma a questo punto i ritardi si accumulano. Perché il rallentamento nell’installazione dei container si ripercuote anche nella costruzione delle Sae, le casette d’emergenza a più lunga durata. I sindaci dei Comuni colpiti dal terremoto si giustificano tutti allo stesso modo: dicendo, cioè, che nel giro di poche settimane hanno dovuto individuare sia le aree per le tendopoli sia quelle per i container. A quel punto, i luoghi dove installare le Sae erano davvero pochi, anche in virtù della difficoltà con cui si può procedere all’esproprio di campi e terreni. Ed è così che, di fronte alla difficoltà nel reperire le aree e renderle adatte ad ospitare le Sae, queste ultime vengono installate a ritmi più lenti. E le consegne avvengono col contagocce: anzi, per sorteggio. È accaduto a Norcia l’11 gennaio, è accaduto ad Amatrice 9 giorni dopo. Estrazione pubblica per decidere chi, tra i tanti sfollati che avevano avanzato richiesta, avesse diritto ad occupare una casetta. Risultato? Rabbia dei cittadini e frustrazione dei sindaci.
Questi ultimi comprendono quanto la procedura sia paradossale, ma se gli si chiede un parere si giustificano spiegando che è inevitabile affidarsi ad un sistema a suo modo imparziale: “Oltre al sorteggio – dicono in coro – non vediamo soluzioni”. E denunciano un’altra stortura che caratterizza la strategia adottata dalla Protezione civile. Il bando voluto da Gabrielli nel 2014, infatti, stabiliva che la ditta aggiudicatrice dovesse occuparsi solo della costruzione e della consegna delle Sae. I lavori di urbanizzazione e quelli necessari per gli allacci dei servizi (dall’acqua al gas, energia elettrica) restano in capo alle amministrazioni locali: i Comuni o, a seconda della tipologia d’intervento, le Regioni. Oppure, in casi specifici, il Genio militare. Una parcellizzazione delle responsabilità che comporta, inevitabilmente, ulteriori lungaggini.
L’altra gara d’appalto per i container: in stand-by per oltre 8 mesi, e aggiudicata solo dopo il terremoto – Spulciando tra le carte di Consip, si scopre che una gara d’appalto preventiva (“Accordo quadro”) per “il noleggio, il trasporto e l’installazione di moduli container in emergenza” c’è stata. Non si tratta, però, di container a uso abitativo, ma di container destinati ad altri fini: mense, magazzini, box doccia. L’accordo, di validità di 6 anni, prevede consegne per un valore complessivo di 11,3 milioni. Il bando viene pubblicato il 2 ottobre del 2015: la gara si chiude l’11 dicembre dello stesso anno. È quello il termine ultimo per la presentazione delle offerte. Perché venga aggiudicata, però, bisogna attendere fino al 24 agosto 2016, guarda caso il giorno in cui Amatrice viene rasa al suolo.
Perché questo ritardo? E perché lo sblocco arriva solo a tragedia già avvenuta? “Si tratta di tempi tecnici che rientrano nella media, per gare così complesse”, si giustificano in Consip. E aggiungono: “È chiaro poi che il terremoto ha costretto ad accelerare le procedure”. Se si chiedono maggiori dettagli, però, nessuna risposta: “Bisognerebbe esaminare da capo tutti i verbali, compresi quelli delle analisi effettuate sulle varie offerte pervenute”. Ad aggiudicarsi la gara, due ditte: la leccese R.I. Spa e la vicentina Frimat Spa, dove un responsabile conferma che “i tempi della burocrazia in Italia sono sempre lunghi”, ma ammette: “In questo caso, di fronte al prolungarsi dell’attesa, abbiamo comunque chiesto chiarimenti a Consip. Ci hanno detto che stavano valutando le offerte”. Poi però è arrivato il terremoto, e tutto si è sbloccato.