Boycott Donald J. Trump”. Non sono più solo gli avversari politici, anche interni al Partito Repubblicano, le organizzazioni femministe o le comunità musulmane a rifiutare le scelte politiche della nuova amministrazione americana. Dopo le marce di protesta e gli scontri post-elettorali, dopo i numerosi rifiuti degli artisti statunitensi e internazionali di esibirsi durante la cerimonia d’insediamento del nuovo inquilino della Casa Bianca e dopo le denunce di intellettuali e mondo del cinema, da Robert De Niro a Meryl Streep, le iniziative dell’esercito dei No-Trump continuano a nascere. Mentre la star iraniana Taraneh Alidoosti, protagonista dell’ultimo film di Asghar Farhadi, ha annunciato che non si presenterà alla cerimonia degli Oscar in polemica con il recente ordine attuativo anti-immigrazione firmato da Trump, in Messico si susseguono le campagne sui social network per boicottare i prodotti delle aziende americane. E la protesta più concreta sembra essere una petizione partita in Regno Unito, che ha superato già il milione di aderenti e potrebbe finire in discussione in Parlamento: nel testo si chiede di declassare la visita ufficiale di Stato di Trump a visita di capo di Stato estero perché “la sua ben documentata misoginia e volgarità metterebbero in imbarazzo la Regina nel caso dovesse riceverlo”. La petizione in realtà non ha effetti pratici, ma per legge obbliga le Camere di Westminster a discuterla una volta superate le 100mila firme.

Londra: “Eventuali divergenze da affrontare faccia a faccia”
Tutte queste iniziative potrebbero non rimanere confinate all’ambito comunicativo, ma creare veri problemi per The Donald, proprio con interlocutori a lui cari: le multinazionali statunitensi e la sua “partner” in Europa, il primo ministro britannico Theresa May, anche se il governo inglese ha già confermato l’invito a Trump. “Noi non siamo d’accordo con queste restrizioni, non è il modo con cui lo faremmo”, ha detto il portavoce, precisando tuttavia che le divergenze vanno affrontate faccia a faccia. “Come abbiamo già sottolineato la settimana scorsa, se siamo in disaccordo su qualcosa saremo felici di dirlo”. Peraltro Londra ha già ricevuto assicurazioni che i cittadini del Regno Unito con doppio passaporto saranno autorizzati a sbarcare negli Usa e che i loro “diritti” saranno rispettati.

Si tratta comunque di un altro episodio che mette in imbarazzo i due Paesi e rende più difficile i rapporti bilaterali, dopo la condanna della stessa May nei confronti delle dichiarazioni di Trump sulla tortura. Un imbarazzo che ha origini “antiche”. Basterebbe tornare al 2012, quando con uno dei suoi ormai famosi tweet, il presidente americano commentò le immagini della principessa Kate Middleton paparazzata in topless: “Chi non scatterebbe una foto a Kate e non farebbe un sacco di soldi se lei prendesse il sole nuda? Su, Kate!”.

Alidoosti non va agli Oscar: “Provvedimenti razzisti”
Dopo le offese lanciate in campagna elettorale all’imprenditore americano e la minaccia di abbandonare gli Stati Uniti da parte di De Niro, dopo il discorso di Meryl Streep alla cerimonia dei Golden Globe che ha cercato di unire il mondo del cinema contro “l’istinto all’umiliazione, la mancanza di rispetto e la violenza”, Hollywood si schiera ancora contro il presidente appena insediato. Alidoosti, star del cinema iraniano e protagonista de Il Cliente di Asghar Farhadi, candidato all’Oscar come miglior film straniero, ha annunciato che non sarà presente per protesta alla cerimonia di premiazione. “Il blocco dei visti per gli iraniani voluto da Trump è razzista. Che si riferisca o meno a un evento culturale, per protesta non parteciperò agli Academy Awards 2017”, ha annunciato con un tweet.

L’attrice ha sposato la causa contro l’ordine esecutivo del presidente twittando un articolo del New York Times in cui si spiega che nessun iraniano è mai stato coinvolto in un attacco terroristico su suolo americano e che gli attentatori dell’11 settembre 2001 provenivano da Paesi non inclusi nella lista contenuta nel decreto. Ma il suo gesto simbolico potrebbe essere meno d’impatto del voluto, visto che il provvedimento stesso, senza una deroga speciale, impedirebbe non solo a lei, ma a tutti gli attori iraniani del cast e allo stesso Farhadi, di partecipare alla premiazione. Uno tra i film più attesi rischia di non avere un suo rappresentante il 26 febbraio al Kodak Theatre.

Messico, “Coca Cola, Starbucks e Kfc addio. Boicot a Estados Unidos”
Non solo il mondo musulmano, però. Anche oltre il confine meridionale degli States si è scatenata, soprattutto sui social, una vera e propria “guerra al fascista Trump”. Per il momento, l’iniziativa si fa notare solo a livello mediatico, ma la grande partecipazione registrata rischia di creare dei problemi alle multinazionali americane che investono in Messico. Da #AdiosCocaCola fino a #AdiosKentucky e #AdiosStarbucks, su Twitter e Facebook è partita la campagna messicana di boicottaggio dei prodotti made in Usa.

L’iniziativa è una reazione agli ordini anti-immigrati e di costruzione della barriera al confine tra Messico e Stati Uniti che sono stati tra i primissimi provvedimenti di Trump. Decisioni che hanno scatenato il risentimento del governo di Città del Messico e, soprattutto, delle migliaia di cittadini messicani che vivono negli States o che hanno in programma di trasferirvisi. A rischio anche il cosiddetto shopping oltrefrontiera messicano, ovvero l’abitudine della classe media di passare il confine per fare acquisti negli Stati a stelle e strisce. Una pratica che, se abbandonata, potrebbe costare agli Usa miliardi di dollari all’anno. Per questo, se il boicottaggio dovesse effettivamente nascere e crescere, creerebbe non pochi problemi al nuovo presidente, con i commercianti degli Stati del sud e multinazionali potentissime come McDonald’s, Burger King e Walmart pronte a bussare alla porta della Casa Bianca. Starbucks, intanto, rilancia: “Assumiamo 10mila rifugiati”.

L’appello degli accademici: migliaia di firme, compresi 40 premi Nobel
Ha raccolto già oltre 7mila firme, comprese quelle di 40 premi Nobel, e i promotori avvertono sul sito che ne stanno arrivando talmente tante altre che per aggiornare i nomi online ci vorranno giorni. E’ l’appello degli Academics against immigration executive order, gli accademici per l’abolizione dell’ordine esecutivo di Trump sull’immigrazione. Tutti docenti universitari, a cui si aggiungono 12mila “Academic Supporter”. La petizione (leggi) afferma che l’ordine è “discriminatorio”, “dannoso per gli interessi nazionali degli Stati Uniti” e impone un “indebito peso” proprio sui membri della comunità scientifica perché colpisce anche “studenti, amici, colleghi”. E arriva a rompere i loro “vincoli familiari”.

Twitter: @GianniRosini 

Aggiornato dalla redazione web 

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