Hamaseh Tayari è nata al confine con l'Iraq, si è trasferita in Italia quando aveva due anni e poi è emigrata in Scozia. Era in vacanza in Centro America con il fidanzato, ma per tornare Glasgow il suo volo prevedeva uno scalo a New York, dove lei - effetto del provvedimento del neo presidente Usa - non può mettere piede: "Quando una legge discrimina, il suo intento è quello di ferire, di farti sentire sbagliata"
A raccontarla, la storia di Hamaseh Tayari sembra partorita dalla mente dello Steven Spielberg di The Terminal, il film in cui il protagonista, Tom Hanks, rimane bloccato al terminal dell’aeroporto di New York a causa di un colpo di Stato nel suo Paese che toglie validità al suo passaporto. La giovane veterinaria iraniana, cresciuta in Italia e oggi emigrata a Glasgow, non è rimasta bloccata dentro al terminal del John Fitzgerald Kennedy, ma a San Josè, in Costa Rica, dove era andata in vacanza con il fidanzato. Motivo: il suo volo di ritorno per la Scozia faceva scalo a New York ma, dopo la firma di Donald Trump dell’ordine esecutivo che impedisce ai cittadini di sette Paesi musulmani di entrare negli Stati Uniti, il suo visto di transito americano non aveva più valore. “Non è una favola – racconta la ragazza a ilfattoquotidiano.it – ma vita reale. Sono sincera: ho paura. Ho capito che possono farci questo e ben altro, se vogliono. Ci trattano da subumani”.
Nata a Khorramshahr, città iraniana al confine meridionale con l’Iraq stravolta dal conflitto tra i due Paesi negli anni ’80, Hamaseh è arrivata in Italia, a Firenze, a soli due anni. Figlia della diaspora iraniana post-rivoluzione khomeinista, la giovane veterinaria è cresciuta in Toscana, fino a quando ha deciso di concludere la sua specializzazione e iniziare a lavorare a Glasgow, in Scozia. Permesso di soggiorno permanente europeo, ma passaporto della Repubblica Islamica dell’Iran. Oggi, nella sua mente è così tornato proprio quel passato sfocato, apparentemente lontano, “ma ancora così vicino – continua la ragazza – Le immagini terribili del passato ancora recente, a pochi giorni dalla celebrazione del giorno della memoria, sono state le prime cose che mi sono venute in mente. I sentimenti, inaspettatamente, non sono stati di odio ma di profonda tristezza”.
Per lei, figlia di un Iran che ha conosciuto appena e cresciuta nell’Europa unita che ha abbattuto le barriere tra gli Stati, questo provvedimento è un impensabile passo indietro nel tempo. “Mi sono sentita fallita come essere umano – dice – Poi ho percepito la forte discriminazione. Ho pensato ‘beh, io e gli altri cittadini delle Nazioni ‘nemiche’ siamo in balia delle decisioni di un pazzo’”. Hamaseh dice che questo provvedimento, provato sulla propria pelle, ha svegliato in lei un forte senso di discriminazione e impotenza: “Ti sembra di andare in giro con un cartello attaccato addosso – conclude -, una sensazione che i cittadini di paesi come l’Iran provano spesso. Dopo un po’ ti abitui e pensi che si tratta solo di leggi fatte da uomini che vivono in un altro mondo. Mi sono sempre detta che le persone che incontro per strada ogni giorno sono diverse. Questa volta, però, ho pianto come non piangevo da quando ero una bimba e ho avuto paura. Quando una legge discrimina, il suo intento è quello di ferire, di farti sentire sbagliata”.