Il figlio dei sopravvissuti di Stazzema: “Sentirsi ascoltati è l’unico risarcimento”
E’ la storia di tutti i naufraghi: i sopravvissuti non sono mai completamente salvi. Le storie dalle quali sono usciti li inseguono per tutta la vita, segnano tutti i loro anni. “I superstiti traggono conforto dal sapere che la loro storia è significativa per la comunità. Se ascoltati, vivono un senso di recupero della dignità, si sentono accolti”. A parlare è Graziano Lazzeri: è il figlio di due sopravvissuti a Sant’Anna di Stazzema, 560 civili uccisi dalle SS nel 1944. Le prove di quel massacro, per portare in tribunale i responsabili, sono rimaste chiuse – insieme a decine di altri fascicoli – in un armadio voltato con le ante verso il muro, dentro uno sgabuzzino di Palazzo Cesi-Gaddi, sede del tribunale militare di Roma. Graziano è cresciuto sotto l’ombra della strage, che ha avvolto tutta la sua famiglia. Oggi ha 50 anni, 15 dei quali passati in psicoterapia. “I superstiti – sottolinea – hanno vissuto la condizione degli ultimi, della spazzatura che non vale nulla. Il riconoscimento da parte della collettività è la prima e forse l’ultima forma di risarcimento cui può ambire la vittima di una strage. Il resto è irreparabile”. Così, spiega Lazzeri, un superstite è come un animale ferito, ferito per sempre. “Quando vai a caccia e ferisci un cinghiale, è quello il momento in cui la bestia è più pericolosa. Così un umano ferito. Non sai mai come reagisce”.
Cronaca
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