C’è anche chi si oppone fermamente alle politiche sull’immigrazione del signor Trump: «I nostri valori sono minacciati dal recente decreto. E’ una politica che non sosteniamo. Siamo contro ogni forma di discriminazione. Diamo il nostro meglio quando riconosciamo il valore della nostra varia e diversa comunità». A firmare questo proclama ispirato ai sommi valori del rispetto e della lotta contro la discriminazione è – udite, udite! – la Nike. Proprio la Nike: la multinazionale sradicata e sradicante che generosamente offre ai lavoratori asiatici orari di lavoro estenuanti, salari risibili, condizioni lavorative a dir poco discutibili.

Sorge il dubbio, a voler essere maliziosi, che i globalisti della Nike amino, come tutti gli altri integralisti del libero mercato, l’immigrazione e la libera circolazione perché in tal modo possono far valere le due leve della mondializzazione e del competitivismo deregolamentato: a) delocalizzazione selvaggia e b) deportazione di massa di nuovi schiavi da sfruttare a buon mercato. Competitivismo deregolamentato (a) significa possibilità di spostare la produzione ove più convenga: cioè ove sia possibile sfruttare in modo più intensivo la manodopera, in forme che non di rado presentano tratti neoservili. Salari da fame, scarse tutele, assenza di sindacati, e così via. Il paradiso del capitale, in poche parole!

Deportazione di massa di nuovi schiavi (b) è il vero nome che andrebbe attribuito alla cosiddetta immigrazione di massa: il capitale coltiva il mito immigrazionista, giacché non vede l’ora di vedere sbarcare masse di disperati, pronti a essere sfruttati in ogni modo pur di avere salva la vita e la possibilità di non essere rispediti, come merci di second’ordine, in patria. È la bellezza della mondializzazione, almeno per i suoi cinici sostenitori, con le loro usuali geremiadi contro le frontiere, i confini e le tutele protezionistiche del lavoro e della produzione non multinazionale. E guai a chi osi metterne in discussione i presupposti: sarà subito diffamato come xenofobo e populista dai tanti cultori – così spesso in cattiva fede – del pensiero unico politicamente corretto al servizio di sua maestà il capitale.

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