Dirigenti di azienda, responsabili di settore, tecnici. Da chi non si accorse dell’incrinatura di un’asse del vagone deragliato a chi non aveva mai fatto abbastanza, speso abbastanza, chiesto abbastanza per migliorare la revisione dei vagoni, il controllo delle procedure, la sicurezza delle ferrovie, soprattutto quando passa un carico di merci pericolose come il gas che fece scoppiare una città 8 anni fa. A finire sotto accusa, dopo l’inchiesta, era stato il sistema e a essere condannato è stato il sistema. C’era chi aveva paura: pagherà l’ultimo saldatore, si diceva. Invece no: per i giudici le responsabilità della strage di Viareggio del 2009 (32 morti, un quartiere ridotto in macerie) sono a tutti i livelli, uno sopra all’altro, uno accanto all’altro. La sentenza, inevitabilmente, ha il volto di Mauro Moretti, l’ex sindacalista che ha scalato l’azienda delle Ferrovie e che ora la politica – che lo ha sempre difeso – ha voluto a comandare che Finmeccanica. Il tribunale ha deciso che per lui la pena giusta sono 7 anni di carcere, non 16 come aveva chiesto il pubblico ministero. Ma la sentenza va letta da lontano, guardando lo schema d’insieme: così ci sono anche altri 7 anni e mezzo di pena all’ex ad di Rete Ferroviaria Italiana Michele Mario Elia e all’ex ad di Trenitalia Vincenzo Soprano, altri 7 a Mario Castaldo, direttore della Divisione Cargo di Ferrovie dello Stato, altri 6 anni e mezzo al dirigente di Rfi Giulio Margarita e a quello di Trenitalia Emilio Maestrini, altri 6 anni di carcere sono decisi per altri dirigenti di Rfi e Trenitalia, passati e presenti: Giovanni Costa, Giorgio Di Marco, Salvatore Andronico, Enrico Marzilli, Francesco Favo e Alvaro Fiumi.
Sembrava che la colpa fosse solo altrove, in Germania: il vagone mal tenuto dalla proprietaria Gatx, l’assile controllato male dalle officine Jungenthaler, ad Hannover. Invece su 23 condanne, 15 riguardano imputati italiani, 11 dei quali in ruoli di dirigenza di aziende di proprietà pubblica. Oltre a loro, a essere dichiarati colpevoli sono il direttore generale e due responsabili tecnici della Cima Riparazioni, l’azienda mantovana che nel febbraio del 2009, 4 mesi prima del disastro, aveva revisionato il carro merci poi deragliato. Per il dg Giuseppe Pacchioni il pm aveva chiesto l’assoluzione invece il tribunale lo ha condannato a 7 anni, altri 6 e mezzo sono stati decisi per Daniele Gobbi Frattini e Paolo Pizzadini. Per tutti le accuse andavano, a vario titolo, da disastro ferroviario, omicidio colposo plurimo, incendio colposo e lesioni colpose.
L’avvocato di Moretti, Armando D’Apote, sostiene che è una sentenza “che trasuda populismo“, un riferimento diretto al collegio di giudici che – accusò il pm in aula – qualche avvocato difensore aveva avuto l’idea di pedinare. Ma più che con il populismo, la sentenza, più banalmente, è stata pronunciata in nome del popolo, come sempre. Ovunque stia la ragione, se c’è una cosa che proprio è mancata, in questo processo durato 140 udienze, è stata la pressione sui giudici. Di sicuro non quella mediatica, visto che giornali e tv hanno abbandonato il campo all’inizio del dibattimento e l’hanno occupato di nuovo solo oggi, per la pronuncia della sentenza. E men che meno la pressione politica: Moretti durante l’inchiesta è stato nominato cavaliere del lavoro, mentre era imputato è stato promosso alla guida di Finmeccanica, mentre nel giorno in cui il pm chiedeva 16 anni di carcere lo premiavano al Quirinale e poche ore dopo il ministro Graziano Delrio discettava, con la sua delega ai Trasporti, su una pena secondo lui sproporzionata.
Ci sarà da aspettare le motivazioni, ma in controluce la sentenza dei giudici di Lucca già un po’ parla. Dice per esempio che da questo processo Ferrovie dello Stato, la società madre, deve uscire completamente. Lo stesso Moretti, per esempio, è stato condannato solo come ex amministratore delegato di Rfi, ruolo che ha ricoperto fino al 2006, e non come capo di Ferrovie. L’assunto dell’accusa era che anche dal vertice di Fs aveva il potere di influire sulle decisioni (direttive, investimenti) per verificare e incrementare i livelli di sicurezza del trasporto su rotaia. Ma evidentemente è stato il segmento – nel puzzle composto dalla Procura – che il tribunale non ha accolto. Aveva colpe Rete Ferroviaria Italiana, che si occupa dei binari, aveva colpe Trenitalia, che si occupa del trasporto ferroviario. Entrambe le società erano imputate nel processo e, se la sentenza diventerà definitiva, dovranno pagare ciascuna 700mila euro di sanzione e avranno la misura accessoria di non poter fare pubblicità.
Infine avevano colpe, più di tutti, l’azienda austro-tedesca proprietaria del vagone e l’officina che faceva le manutenzioni. Le condanne più dure toccano proprio ai tedeschi e agli austriaci, in particolare i vertici della Gatx che era proprietaria del carro che aveva assili malconci tanto da non resistere e provocare il ribaltamento del vagone, ma anche per i dirigenti della Jungenthal, l’officina di Hannover in cui fu eseguita la manutenzione di quell’asse. Per la Gatx sono stati condannati a 9 anni e 9 mesi Rainer Kogelheide e Peter Linowski, rispettivamente ad e responsabile della manutenzione del braccio tedesco dell’azienda, a 9 anni Johannes Mansbarth e Roman Mayer, il primo ad e il secondo capo della manutenzione di Gatx Rail Austria. Per l’officina Jungenthal, invece, hanno preso 9 anni Uwe Konnecke, responsabile della Jungenthal, 8 ciascuno Andreas Schroter, Uwe Kriebel e Helmut Brodel.
Una sfilza di nomi che rende l’immagine di uno schema del trasporto di merci pericolose che non è solo italiano ma europeo e che prima la Procura e poi il tribunale ha disegnato come pieno di falle. “E’ una sentenza importantissima, un grosso passo avanti anche verso il profilo della sicurezza” commenta il procuratore capo di Lucca Pietro Suchan. “Questa sentenza spero riuscirà a evitare ulteriori incidenti, fa fare un grande passo in avanti – ha aggiunto – e ci fa credere nel sistema giustizia”. “Abbiamo la coscienza di aver fatto tutto quello che era possibile, non ci siamo mai risparmiati” ha aggiunto Giuseppe Amodeo, uno dei pm.
“Dobbiamo capire perché da 16 anni richiesti si è passati a 7 – dicono ora i familiari delle 32 vittime – Per la prima volta il sistema e le Ferrovie sono state condannate, è stato riconosciuto che c’era un problema di sicurezza”, ma questo “lo sapevamo anche sette anni fa”. I loro figli, fratelli, nipoti, genitori il 29 giugno 2009 furono sorpresi dal gas infuocato del vagone squarciato mentre dormivano o giocavano a carte o guardavano la tv o andavano in scooter. I parenti dei morti di Viareggio si sono sgolati per anni: non lo facciamo per i nostri che non ci sono più, hanno ripetuto, lo facciamo per i nostri figli, i nostri nipoti, per questo Paese. Nessuno li ascoltava e loro continuavano. Li escludevano dai convegni e loro si piantavano davanti all’uscio. Come quella volta che la Cgil invitò Moretti, ma rifiutò che intervenisse Marco Piagentini, l’uomo-simbolo della tragedia, che in quella strage ha lasciato la moglie, due figli piccoli, la sua pelle, ma è tornato alla vita dopo 40 operazioni per occuparsi del terzo figlio. Fino a oggi, il giorno in cui è finito (per ora) il duello con Moretti.
Lui, il manager che definì il disastro uno “spiacevolissimo episodio”, in serata ha riunito il cda di Leonardo-Finmeccanica in via straordinaria, dopo una giornata di tracolli del titolo in Borsa. La conclusione del consiglio di amministrazione è che “permangono in capo all’amministratore delegato tutti i requisiti previsti dalla vigente disciplina, nonché la piena capacità di esercitare le prerogative connesse all’ufficio di organo delegato ed ha confermato, all’unanimità, piena fiducia all’ing. Moretti”. Nel merito, forte di pareri resi “da primari professionisti altamente qualificati”, il cda ricorda che la sentenza non è definitiva e che il reato è colposo. Nessuna risposta, come sempre in questi 8 anni, alla gente di Viareggio che gli chiede di rinunciare alla prescrizione. Ma con quel comunicato non parlava certo a loro, piuttosto agli investitori. “C’è sicuramente un tema di sensibilità – dice il presidente dell’Anac Raffaele Cantone – La nomina è in scadenza, sarà la politica a dover fare questa scelta”. E finora la politica ha sempre scelto da una parte sola.