Ma come? Mettono in cassa integrazione cinquemila lavoratori proprio ora? Non avevano detto che Ilva stava risalendo la china?
Ma si dimenticavano due cose importanti.
Primo. Questa fabbrica ha una caratteristica strutturale: va comunque in perdita se produce sotto i sette milioni di tonnellate/anno. Non ci sono le condizioni per produrre di più perché il mercato non richiede di più. C’è una ripresina. “Il tema della sovracapacità globale resta però irrisolto”, annota impietoso anche Il Sole24Ore.
Secondo. I debiti del passato si sommano ai debiti del presente. Ilva accumula perdite, ora più elevate ora meno, ma non ha mai prodotto utili da quanto i Riva non ci sono più. E l’Ilva ha debiti sufficienti per fallire. Li produrrà comunque anche quando sarà una new company.
La cassa integrazione per ben cinquemila lavoratori su circa undicimila si colloca in una situazione disperata, senza sbocchi per il futuro.
E’ una situazione che richiederebbe un piano B per rioccupare i lavoratori in un’operazione che riconverta l’economia con i fondi europei per le aree di crisi industriale. Il miliardo e trecento milioni del patteggiamento può servire a questa operazione di rilancio dell’economia di Taranto: per questo non va dato all’Ilva ma alla città, alle vittime dell’inquinamento, ai disoccupati e ai lavoratori Ilva da rioccupare.
Sbaglia a mio avviso il procuratore di Milano Francesco Greco a proporre un uso dei soldi del patteggiamento per il rilancio dello stabilimento Ilva, perché Ilva è un dead man walking. Un morto che cammina. Appena verranno meno gli aiuti di Stato (vietati dalle norme europee) si accascerà nuovamente e morirà.
Ho personalmente proposto in audizione parlamentare alla Commissione industria del Senato, precisamente al presidente Massimo Mucchetti, che i senatori favorevoli al rilancio dell’Ilva investano diecimila euro del loro stipendio di parlamentari in obbligazioni Ilva. Vediamo se lo fanno, vediamo se ci credono davvero. Se il futuro è quello radioso che prospettano, perché non dare l’esempio? Stesso gesto, vorrei proporlo anche al procuratore Greco.
Io credo che i frutti dell’ottimo lavoro svolto in passato dalle procure di Taranto e Milano non debbano e non possano adesso fare da supporto a un’operazione economica fallimentare che fuoriesce dalle competenze della magistratura.
Noi cittadini abbiamo il diritto di richiedere giustizia e verità, senza colpi di spugna sul presente in nome di un illusorio rilancio dell’Ilva.
L’obiettivo a Taranto è quello che le indagini in corso sull’Ilva non vengano archiviate in virtù dello scudo penale offerto ai commissari e ai potenziali nuovi acquirenti. Lo scudo penale è incostituzionale: questo va dimostrato e asserito con un’iniziativa forte, sia a livello politico sia a livello legale. Una volta tolto questo scudo, l’Ilva diventa nuovamente materia da codice penale. E viene scardinata la pietra tombale che vogliono far calare su tutta la vicenda, e su di noi.
Intanto a Taranto, sotto lo stabilimento, una enorme quantità di veleni va sempre più in profondità, arriva giorno dopo giorno fino alle viscere della terra. Nessuna bonifica è in corso, neppure una messa in sicurezza d’emergenza. Chi risponderà di fronte allo Stato e alla collettività per le proprie omissioni? Non era entrato in vigore il reato di omessa bonifica?