“E’ un grande investimento a perdere”. Non è la solita propaganda anti immigrati. Lo dice uno che ha difeso il sistema dell’accoglienza anche davanti a un fucile a pallettoni. “Uccido prima voi e poi loro”, si è sentito dire Matteo Vairo, quando a maggio 2015 ha aperto il primo centro di accoglienza per richiedenti asilo di Zavattarello, meno di mille anime in provincia di Pavia, tra la diffidenza e il risentimento della comunità montana dell’Oltrepò. Dopo due anni di lezioni di italiano, corsi di formazione e lavori per la comunità, i problemi di integrazione sono superati, ma burocrazia e incapacità del legislatore finiscono per vanificare ogni sforzo. I pochi che ottengono lo status di rifugiato dopo un’attesa che può superare i due anni, devono lasciare il centro entro tre giorni senza un euro in tasca, senza un lavoro e un’altra struttura che metta a frutto l’investimento pubblico fatto su di loro per trasformarli in cittadini. Così la proposta del ministro degli Interni Marco Minniti di legare lo status allo svolgimento dei lavori socialmente utili, qui a Zavattarello suona come una beffa. “Chi ha ricevuto risposta negativa può rimanere qui fino all’ultimo grado di giudizio. Continua a studiare, a lavorare. Ha cibo e un tetto. Ma se gli riconoscono lo status di rifugiato dobbiamo metterlo alla porta e tanti saluti”. Altro che integrazione. Da qui l’invito del direttore Vairo: “Caro ministro Minniti, venga a trovarci. Si renderà conto di quello che succede, di quello che serve, di quello che non funziona”
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