Fu un pessimo profeta, Barack Hussein Obama (uno che, con quel nome, avrebbe oggi serie difficoltà a passare i controlli d’immigrazione). Ma nell’errore è riuscito a regalarci, per negazione, quella che è forse la più compiuta – ed effettivamente profetica – definizione della stagione politica appena apertasi. Donald Trump, disse Obama lo scorso maggio quando apparve chiaro che il “tycoon” color arancia sarebbe stato il “nominee” repubblicano – “non diventerà presidente”. Non lo diventerà, aggiunse, perché “la presidenza degli Stati Uniti d’America non è un reality show”. Orbene: oggi tutti sappiamo come sono andate a finire le cose (o, più esattamente, come sono andate a cominciare). A dispetto delle previsioni del presidente uscente (e di pressoché tutti gli altri, compreso, parecchi ne sono convinti, lo stesso Trump) il palazzinaro newyorkino è diventato presidente. E la presidenza degli Stati Uniti d’America è in effetti diventata – con conseguenze ancora tutte da misurare – un reality show.
Molti, nel commentare il turbinio di “ordini esecutivi” firmati a raffica del neo-presidente nelle ultime ore ne hanno sottolineato la natura reazionaria, xenofoba, vendicativa e crudelmente “bullistica”, da un lato; e, dall’altro, il loro essere superficiali, dilettanteschi, tanto teatrali nella presentazione quanto, nella maggioranza casi, giuridicamente impresentabili e, non di rado, praticamente inapplicabili.
Tutto vero, tutto corretto. Donald Trump ha chiaramente firmato ordini su ordini non solo senza valutarne le conseguenze con le agenzie governative interessate, ma anche senza consultare esperti di sorta (per non dir della Costituzione o della sua coscienza, due entità a lui palesemente ignote). E – come non pochi sostengono – più che possibile è che lo spettacolare miscuglio di prepotenza e d’inettitudine messo in mostra da Trump in questo suo frenetico debutto non sia a conti fatti che una distrazione, il classico specchietto per le allodole, la follia dietro la quale va crescendo e prosperando la “rasputiniana” influenza “alt-right” di Steve Bannon, il più a destra (vale a dire: il più razzista e xenofobo, il più “nazionalista bianco”, il più “America first”) dei consiglieri del neo-presidente. Essendo tuttavia i confini tra forma e sostanza assai labili tanto nella teoria quanto nella prassi del trumpismo, impossibile risulterebbe cogliere la vera natura degli eventi senza partire proprio da quella molto specifica forma di spettacolo che, ingenuamente, Obama aveva pensato fosse, per Trump, un insormontabile ostacolo lungo le vie che portano alla Casa Bianca. Per l’appunto: il reality show.
Ma quale reality show? Il più immediato dei riferimenti è ovviamente quello di “The Apprentice”, il programma del quale Trump è stato, fino a ieri, produttore e conduttore nelle vesti d’un super-boss che licenziava o assumeva gli “apprendisti” – o gli aspiranti manager – che a lui si presentavano come sudditi al cospetto del sultano. E di quel “format” televisivo qualcosa in effetti traspare nei comportamenti d’un presidente che proprio così interpreta i poteri che la carica gli conferisce: come lo specchio delle sue brame, il luogo nel quale saziare la sua quotidiana, inappagabile fame d’adulazione, il suo costante, infantile bisogno d’esibire la propria forza come un’entità assoluta. E questo in un mondo binario dove non esistono – in entrambi i casi nella più brutale delle forme – che due possibilità: vincere o perdere, comandare o servire.
Non è tuttavia l’onnipotente boss di “The Apprentice” il personaggio che con più forza emerge dal muscolare spettacolo del Donald firma-decreti, bensì quello di “The Heel”, il tallone, prodotto d’un reality show molto più antico della tv, che la tv ha rigenerato in nuove e più rozzamente spettacolari dimensioni. Parlo del wrestling. E più in particolare della “WrestleMania”, non per caso uno show-business nel quale Trump ha impegnato non solo il proprio denaro, ma anche se stesso. Nel moderno wrestling televisivo, “The Heel” è il provocatore, la vera anima dello show, il “cattivo” che mostrando i muscoli eccita la folla promettendo sfracelli e ossa rotte, menando colpi proibiti e insultando i rivali. The Heel è la forza bruta, la forza che piega, che umilia. L’unica forza che Donald conosca, come vanno apprendendo quanti pensavano che i doveri dell’Ufficio – quelli di presidente – fossero infine destinati a cambiarlo. Non è stato così. Tallone era ieri il Trump candidato, tallone è rimasto il Trump presidente.
Si dice che un’immagine valga più di mille parole. Guardate questo video. E capirete meglio – vedendo the Heel Donald Trump in azione – quale sia la mentalità, la cultura che muove l’uomo che oggi siede sullo scranno che fu di Abraham Lincoln. L’American horror show è appena cominciato. Prepariamoci al peggio…