Era il 9 dicembre 2014 quando a Palazzo Chigi un raggiante Matteo Renzi annunciava la firma dell’accordo di programma: “E’ un’acquisizione strategica. Piombino è un pezzo di futuro dell’Italia”. Per poi rimpolpare l’entusiasmo su Twitter, legando il salvataggio delle acciaierie ad altri ‘grandi successi’ come la norma sul rientro di capitali, l’autoriciclaggio, Terni, l’Ilva, la nomina di Guerra e perfino alla panacea di tutti i mali nel mondo del lavoro, il Jobs Act. “Tutto in una settimana”, annunciava. Di settimane ne sono passate centododici e la situazione dell’ex Lucchini, venduta ufficialmente nel giugno 2015, è un po’ diversa. Tant’è che oggi i lavoratori tornano in piazza per chiedere garanzie al magnate algerino Isaad Rebrab, che attraverso Aferpi, controllata dal suo gruppo Cevital, aveva deciso di fare di Piombino il “centro mondiale dell’acciaio di qualità”.

Il progetto venne preferito a quello degli indiani di Jindal grazie al piano che prevedeva l’impiego a regime di tutti i 2.200 lavoratori e una forte diversificazione nell’agro-alimentare e nella logistica. Per un investimento iniziale di 400 milioni da far lievitare poi a un miliardo. Al momento Rebrab ha sì assunto come promesso, ma ha messo sul piatto 102 milioni. Secondo il contratto di vendita, il commissario straordinario ha l’obbligo per 24 mesi, quindi fino a giugno 2017, di vigilare sul programma valso la cessione. Se da un lato i livelli occupazionali sono finora stati garantiti, grazie anche alla solidarietà, dall’altro i mancati investimenti potrebbero essere oggetto di un possibile intervento da parte degli amministratori. I tempi, insomma, stringono prima che il governo si ritrovi di nuovo la patata bollente tra le mani. Eppure il ministero dello Sviluppo Economico e la Regione Toscana temporeggiano, tra nuove aperture di credito ad Aferpi e la richiesta di certezze.

Il ministro Carlo Calenda ha annunciato di aver scritto “una lettera in termini un po’ formali” a Rebrab, che incontrerà nuovamente la prossima settimana. “Francamente di incontri ne abbiamo fatti tanti, adesso vorrei vedere gli investimenti”, ha aggiunto riproponendo quell’impegno formale già richiesto due settimane fa. Lo stesso aveva fatto Federica Guidi, dalla stessa poltrona, nel febbraio dello scorso anno. Ma Rebrab ha difficoltà a portare capitali fuori dall’Algeria, dove – come raccontato dal Sole 24 Ore – sono cambiati gli equilibri politici e di conseguenza gli appoggi dello stesso magnate. Non mancano anche problemi nel trovare banche disposte a finanziare Aferpi, mollata da Bnp nell’autunno di due anni fa poco prima dell’apertura di un’importante linea di credito. E ora i problemi si sono moltiplicati, coinvolgendo anche il capitale circolante.

“In generale, le banche tendono a stare lontane da Piombino, non sta a me dire se in maniera giustificata. Certo è che qui ci hanno lasciato centinaia di milioni quando c’era l’altoforno, quindi se si nomina questa città, lo dico in toscano, gli si arrizzano i capelli”, dice il governatore Enrico Rossi a ilfattoquotidiano.it. “Mi sembra che questa iniziativa non piaccia all’establishment della siderurgia italiana, avverto un clima un po’ ostile. Ma noi dobbiamo andare avanti. Non si può valutare tutto sul ritardo di un anno – continua il presidente della Regione – Il mio obiettivo è che si torni a produrre acciaio e faccio di tutto perché ciò accada con il progetto che c’è ora in campo”.

E sta anche predisponendo gli strumenti finanziari. La Toscana si farà garante di Aferpi per l’acquisto delle materie prime necessarie a soddisfare gli ordini che già ci sono tramite Fidi Toscana, la finanziaria di cui è socia di maggioranza relativa, fino a un massimo di 20 milioni e a pagamento. Un modo per far continuare a lavorare i laminatoi dell’ex Lucchini e risolvere i problemi legati al circolante. Per ammissione dello stesso Rebrab, anche il governo “ha assicurato che incoraggerà le banche a sostenere Aferpi”. Ma chiede tempo per la ripresa e al Sole 24 Ore ha annunciato che la vera svolta avverrà grazie al polo logistico e agro-alimentare. Promesse, insomma. Come quella di portare la produzione a 2 milioni di tonnellate annue e di mettere in funzione il primo forno elettrico nell’ottobre 2016. È stato ordinato solo ad aprile alla tedesca Sms group.

“A seguito della mancata realizzazione, ad oggi, del piano industriale Cevital, vogliamo denunciare che lo stabilimento si sta gradualmente spegnendo – denunciano intanto Fim, Fiom, Uilm e Ugl – Chiunque venisse meno agli impegni presi, causando la mancata realizzazione di questo progetto, per il quale ad oggi gli unici ad aver fatto la loro parte sono lavoratori, sarà considerato a tutti gli effetti una nostra controparte”. Rossi si augura che “la manifestazione dei lavoratori aiuti e sia da stimolo per avere quanto prima risposte certe”. Calenda dice di voler dare la sveglia a Rebrab. Quest’ultimo è stato definito da un giornale francese lo “Zorro delle aziende in difficoltà, la speranza degli operai in ginocchio”. Oltralpe ha già salvato Oxxo, che produce finestre, e la società spagnola di elettrodomestici Fagor Brandt. Afferma di non aver mai fallito. Piombino e il governo sperano che la prima volta non sia proprio in Toscana.

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