Nei giorni passati ha tenuto banco la questione della Conferenza Stato Regioni in merito alla gestione del lupo sul nostro territorio. Le parti dovevano approvare il 2 febbraio il “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia”, redatto da un pool di esperti in materia. In realtà il 2 c’è stato un semplice rinvio al 23 febbraio prossimo, ma non pare vi sia l’intenzione di modificare il testo.
Di questo testo non se ne sapeva in realtà nulla perché non era stato divulgato. Si sapeva solo, genericamente, che esso prevedeva una quota del 5% di abbattimento di lupi. È bastato questo per scatenare (peraltro anche giustamente) l’inferno: fra la gente comune, fra le associazioni ambientaliste, anche fra governatori di regione (Chiamparino in Piemonte ed Emiliano in Puglia si sono scoperti amanti della natura e hanno gridato “viva il lupo”).
A bocce ferme, adesso si è in grado di fare alcune considerazioni sul testo originario di quel piano.
Le considerazioni che seguono non sono personali, ma derivano dallo scambio di informazioni e opinioni con alcuni dei massimi esperti di conservazione del lupo.
Si impone, in primis, una premessa a margine: per quale motivo il ministero si avvale della prestazione (a pagamento, si immagina) del professor Luigi Boitani dell’Unione zoologica italiana nonché di una pletora di esperti per redigere il testo quando c’è un apposito ente, l’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che opera sottoposto alla vigilanza del ministro dell’Ambiente?
Venendo al merito, innanzitutto si nota che mancano dati certi sulla presenza del lupo in Italia. Ad eccezione della Toscana dove da alcuni anni esiste un progetto di monitoraggio estensivo a livello regionale, le altre Regioni (in primis il Lazio, oltre a Campania e Basilicata) hanno dati vecchi, deboli o inesistenti. In sostanza inutilizzabili. Si ripara a questo integrando i dati presenti con un “modello” che fornisce un risultato finale molto grezzo. In sostanza si parla di una consistenza numerica compresa tra i 1.000 ed i 2.200 animali. Un range numerico talmente ampio che non permette di avvalorare scelte gestionali di nessun tipo. Già questa mancanza non consentirebbe in un paese civile di adottare delle misure adeguate. Ed infatti il piano ammette che manca “una stima formale basata su un programma nazionale di censimento del lupo” anche se essa era prevista dal Piano d’Azione 2002.
In secondo luogo poco o nulla si sa del fenomeno e della consistenza dell’ibridazione tra lupo e cane. E poco o nulla si sa altresì dei branchi di cani inselvatichiti che possono arrecare anch’essi danni agli animali da allevamento.
Altro elemento decisivo è questo. Il piano, come del resto quello precedente, prevede tutta una serie di misure preventive che dovrebbero essere messe in atto al fine di prevenire/dissuadere gli attacchi dei lupi agli animali da allevamento. Bene, queste misure vengono così definite dal piano:
“Sulla base dei documenti e delle esperienze accumulate nel corso dei progetti Life e regionali già completati o in corso, viene elaborata, insieme alle associazioni di categoria del mondo degli allevatori, una nuova serie di documenti diretta al mondo agricolo che approfondisca le seguenti tematiche:
1) Cani da guardiania: razze adatte, metodi di addestramento, metodi di gestione, uso nelle diverse condizioni di pascolo, aspetti sanitari, aspetti comportamentali, produttori, costi di acquisto e gestione, normativa vigente per il possesso e utilizzo corretto.
2) Recinzioni a rete metallica ed elettriche: tipologie disponibili, condizioni ambientali in cui possono essere utili, corretto metodo di utilizzo, costi di acquisto e manutenzione, risultati ottenibili.
3) Buone pratiche per la coesistenza tra animali domestici e lupo: tipologie di bestiame e conduzione dei pascoli compatibili con la presenza del lupo, pratiche agricole virtuose e accessibili, condizioni e costi della coesistenza.”
I metodi di prevenzione sono noti da tempo ed dovevano essere messi in pratica già da tempo. Adesso se ne riparla, ma ciò che è sconcertante è il finanziamento di queste operazioni, posto che è difficile ipotizzare che un allevatore di sua iniziativa, a spese proprie, si compri un cane addestrato appositamente o realizzi una recinzione dissuasiva. Il finanziamento è ZERO. In realtà all’attuazione delle misure dovrebbero pensarci le Regioni, ma le Regioni spesso non le attuano perché non hanno o non vogliono trovare le risorse.
Ma veniamo al punto più controverso: la deroga che consentirebbe l’abbattimento del 5% della popolazione del lupo. Il documento – premesso che l’uccisione generalizzata non è la strada da perseguire – giustifica la deroga così: “Oggettive condizioni di forte tensione sociale si possono verificare soprattutto in alcune parti dell’areale del lupo dove la specie ha fatto ritorno dopo decenni di assenza e dove si sono sviluppati metodi di allevamento che, per essere compatibili con la presenza del lupo, richiedono onerose misure di prevenzione. In queste condizioni, il prelievo di alcuni esemplari può costituire, presso i gruppi di interesse più colpiti, una forma di gestione che può coadiuvare le altre azioni di prevenzione e mitigazione dei danni. Inoltre, può rappresentare un importante gesto di partecipazione e una dimostrazione di flessibilità che possono aiutare a superare il clima di contrapposizione che a volte sfocia in atti di bracconaggio incontrollabile. Può quindi contribuire ad instaurare quel clima di condivisione necessario ad attuare una più complessa strategia di coesistenza“.
In buona sostanza, la prevenzione può essere molto onerosa. Ammesso che la si faccia in futuro, nel frattempo dove gli allevatori sono più incazzati, si può ammettere di ammazzare un po’ di lupi. Dimostrando così “partecipazione e flessibilità”.
C’è di che rimanere basiti. Il testo si commenta da solo, non è il caso di spendere altre parole.
In conclusione, si può ricordare come il ministro Galletti, a fronte della sollevazione popolare destata dalle deroga, abbia tacciato chi non la pensa come lui di “populismo”. Avete notato come oggi se si è contro il potere si è populisti? A mio modo di vedere non si è populisti quando si interpreta la volontà della stragrande maggioranza della popolazione. Forse invece lo si è quando si permette di ammazzare dei lupi prima di aver fatto tutto il necessario per evitarlo, e solo per dimostrare “partecipazione e flessibilità”.